In memoria di Paolo Borsellino.
Un vero cristiano
Quando, pochi giorni prima dell’attentato di Via D’Amelio, seppe dell’arrivo a Palermo del tritolo destinato a farlo saltare in aria, Paolo Borsellino non si scompose più di tanto. Era una notizia che si aspettava. Sapeva che, dopo Giovanni Falcone, ucciso neanche due mesi prima con la moglie e gli agenti della scorta, sarebbe toccato a lui.
Perché la mafia non perdona. Perché la mafia non dimentica. Perché la mafia non fa ostaggi. Perché la mafia aveva ormai scelto la strategia della tensione per far scendere lo Stato a compromessi e, nello stesso tempo, punire chi l’aveva combattuta. Quando seppe che l’ora era ormai giunta anche per lui, Paolo Borsellino non chiese di essere trasferito o sepolto vivo in un bunker sotterraneo, uno dei tanti che esistono in Sicilia per proteggere i Magistrati più esposti. No, Paolo Borsellino restò al suo posto, perché, come ebbe a dire durante un incontro con un gruppo di giovani studenti, “chi ha paura muore ogni giorno; chi non ha paura, muore una volta sola”. Non aveva paura di morire, Paolo Borsellino, perché era preparato da tempo: era conscio, sin dall’inizio della sua lotta alla mafia, di aver aperto un conto con “Cosa Nostra”, che si sarebbe chiuso solo con la sua morte e con quella di Falcone. Un vero uomo, un vero rappresentante delle Istituzioni, un vero italiano! Ma anche un vero cristiano! Così, quando seppe dell’arrivo del tritolo, la prima cosa che fece, fu telefonare al suo confessore e pregarlo di raggiungerlo in Procura. Borsellino, che era stato animato per tutta la vita da una Fede incrollabile, una Fede senza la quale sarebbe stato realmente inumano sopportare il peso delle sue responsabilità, chiese di Confessarsi e di prendere la Comunione, come faceva tutte le settimane, conscio che l’incontro con Dio si avvicinava.
Paolo Borsellino è morto così.
Da eroe.
Da martire.
Da cristiano.