“La vittoria di Gesù” nel Cammino (neocatecumenale) di due sposi che hanno creduto ad una parola:
Qualsiasi cosa fai Dio ti ama.
In occasione della festa organizzata a Roma il 5 maggio per celebrare insieme al Santo Padre i 50 anni di vita del Cammino Neocatecumenale, ho avuto l’occasione di conoscere una famiglia in missione a Riga: mamma Graziella, papà Misael e i loro 9 figli.
Lo scorso anno sono stati inviati in Lettonia ad evangelizzare, hanno lasciato tutto: casa, lavoro, parenti, amici, sicurezze, per amore di Cristo, per gratitudine nei confronti della Chiesa.
La “missio ad gentes”, strumento prezioso che il Cammino mette a disposizione dei vescovi, consiste nell’invio di famiglie disposte a partire per andare ad annunciare il Vangelo nelle zone più scristianizzate d’Europa e del mondo. Attualmente 1668 famiglie, con circa 6.000 figli, operano in 108 paesi; di esse 216 “missio ad gentes” (in Europa, 134, in Asia 46, in America 18, Africa 9, in Oceania 8 e 1 in Medio Oriente) (Vatican News).
Incontrarli nel parcheggio della chiesa con il loro pulmino, gli sportelloni aperti e i bambini più piccoli aggrappati a giocare, mi ha spinto a chiedere alla coppia di sposi di raccontarci la loro storia.
Graziella, come vi siete conosciuti?
Ci siamo conosciuti in California, studiavamo inglese insieme all’università. Io ho cominciato lì a frequentare il Cammino e più tardi ho invitato Misael ad ascoltare le catechesi. Allora eravamo soltanto amici, sei mesi dopo ci siamo messi insieme. La prima grande vittoria di Gesù Cristo è stata che abbiamo avuto una relazione casta. Prima di entrare in Cammino ero atea, odiavo la Chiesa Cattolica, ero cresciuta a Città del Messico con l’ideologia comunista perché la maggior parte dei miei professori lo era. Non volevo sposarmi, reputavo il matrimonio una cosa ridicola e mai avrei pensato di avere dei figli. Tutto cambiò quando ho incontrato il Cammino. Ricordo che all’inizio della nostra storia ho detto a Misael: “Voglio un ragazzo che segua Gesù Cristo, altrimenti non funzionerà”. Dopo due anni ci siamo sposati: la seconda vittoria di Gesù Cristo.
Misael tu invece eri già credente quando vi siete incontrati?
Prima di entrare nel Cammino ero omosessuale, quando ho cominciato ad ascoltare le catechesi vivevo ancora con un uomo, ma grazie all’annuncio della Parola ho cambiato vita, ho chiuso questa relazione. Ho ascoltato queste parole che mi hanno toccato dentro: “Qualsiasi cosa tu fai Dio ti ama”. Dio mi ha dato la vita perché io prima ero morto. Dio mi ha dato dignità. Non avevo mai aperto la Bibbia, non avevo mai capito niente e invece inspiegabilmente ho cominciato a leggerla, leggerla e capire, e tutto è cambiato. Ho assaggiato la Bibbia e ho capito quanto era buona. Io sono di El Salvador, avevo ricevuto i sacramenti ma ero fuori della Chiesa. Ho vissuto la guerra civile nella mia nazione, tutta la mia infanzia l’ho perduta perché c’era la guerra, non ho vissuto una vita bella. Sono stato cresimato da mons. Romero che mi ha avvicinato alla fede e che adesso diventerà santo.
Graziella, avete scelto subito di aprirvi alla vita?
Quando sono entrata in cammino ho capito che sarebbe stato bello essere aperti alla vita: noi donne siamo state create per questo. Per me è difficile occuparmi dei miei figli perché soffro di fibromialgia, ed il fatto che nonostante tutto ci riesca è un miracolo. Nel 2014 sono stata un anno a letto. Il miracolo è che Dio mi ha curato e adesso sto un po’ meglio. Ho cominciato a stare male nel 2009, e all’epoca il dottore mi disse che il mio problema era che facevo troppi figli. Soffrivo perché mi ero quindi convinta che la malattia dipendesse dai miei figli e mi sentivo molto in colpa per questo. Nel 2011 ci siamo offerti come famiglia per partire in missione, e lo scorso anno siamo stati mandati a Riga in Lettonia. Lì ho trovato un dottore che mi ha spiegato che la mia malattia non dipendeva dalle gravidanze, perché la donna è progettata per avere figli: ho trovato così la pace nel mio cuore. Il mio ultimo figlio è nato a Riga e questa è un’altra vittoria di Gesù Cristo: tutti mi pensavano folle perché stavo male e continuavamo con mio marito ad essere aperti alla vita. Nelle difficoltà e nella sofferenza pregavo il rosario e offrivo la mia malattia per la fede: Dio mi ha scelta per condividere la sua passione nel mio dolore. Penso valga la pena soffrire per amore della Chiesa, per i sacerdoti. Da quando siamo in missione mio marito mi aiuta di più perché ha finalmente capito la natura e le problematiche della mia malattia che inizialmente può sembrare a chi ti sta vicino solo un problema psicologico. Io adesso sono in pace, so che il dolore va e viene, ma il tempo della mia sofferenza non è sprecato: lo offro a Gesù.
Ora che siete in missione come riuscite ad andare avanti con 9 figli?
Abbiamo nove figli, Misael, Anna Maria, Rachel, Sebastian, Felipe de Jesus, Michelangelo, Barbara, Bernadette, Josè Alberto (4 mesi), ma non ci manca niente, Dio ci da la forza. Quando sto male e sono costretta a letto i miei figli sanno cosa fare, sono indipendenti. Sono molto felice di vivere a Riga nonostante il freddo. Ogni giorno è un miracolo. La nostra comunità ci aiuta molto e anche la Caritas e la gente del posto: ci portano il cibo, ci danno i vestiti… Il regime socialista li ha fatti molto soffrire, hanno pochi figli, ma quando ci incontrano e vedono la truppa dei nostri bambini sorridono e sono felici.
Quando non abbiamo da mangiare apro il Vangelo e quello è il nostro vero pane della giornata, con la certezza che dopo arriverà sicuramente qualcosa da mangiare. Ed è ogni volta così, perché il Signore provvede sempre. Siamo felici di essere venuti tutti insieme a Roma, mio marito ha guidato per 3 giorni e abbiamo dormito in macchina, ma siamo molto grati e contenti.
Tratto da Aleteia scritto da Silvia Lucchetti