Non abbiate paura di seguire Cristo

“La vittoria di Gesù” nel Cammino (neocatecumenale) di due sposi che hanno creduto ad una parola:
Qualsiasi cosa fai Dio ti ama.

In occasione della festa organizzata a Roma il 5 maggio per celebrare insieme al Santo Padre i 50 anni di vita del Cammino Neocatecumenale, ho avuto l’occasione di conoscere una famiglia in missione a Riga: mamma Graziella, papà Misael e i loro 9 figli.
Lo scorso anno sono stati inviati in Lettonia ad evangelizzare, hanno lasciato tutto: casa, lavoro, parenti, amici, sicurezze, per amore di Cristo, per gratitudine nei confronti della Chiesa.
La “missio ad gentes”, strumento prezioso che il Cammino mette a disposizione dei vescovi, consiste nell’invio di famiglie disposte a partire per andare ad annunciare il Vangelo nelle zone più scristianizzate d’Europa e del mondo. Attualmente 1668 famiglie, con circa 6.000 figli, operano in 108 paesi; di esse 216 “missio ad gentes” (in Europa, 134, in Asia 46, in America 18, Africa 9, in Oceania 8 e 1 in Medio Oriente) (Vatican News).
Incontrarli nel parcheggio della chiesa con il loro pulmino, gli sportelloni aperti e i bambini più piccoli aggrappati a giocare, mi ha spinto a chiedere alla coppia di sposi di raccontarci la loro storia.

Graziella, come vi siete conosciuti?

Ci siamo conosciuti in California, studiavamo inglese insieme all’università. Io ho cominciato lì a frequentare il Cammino e più tardi ho invitato Misael ad ascoltare le catechesi. Allora eravamo soltanto amici, sei mesi dopo ci siamo messi insieme. La prima grande vittoria di Gesù Cristo è stata che abbiamo avuto una relazione casta. Prima di entrare in Cammino ero atea, odiavo la Chiesa Cattolica, ero cresciuta a Città del Messico con l’ideologia comunista perché la maggior parte dei miei professori lo era. Non volevo sposarmi, reputavo il matrimonio una cosa ridicola e mai avrei pensato di avere dei figli. Tutto cambiò quando ho incontrato il Cammino. Ricordo che all’inizio della nostra storia ho detto a Misael: “Voglio un ragazzo che segua Gesù Cristo, altrimenti non funzionerà”. Dopo due anni ci siamo sposati: la seconda vittoria di Gesù Cristo.

Misael tu invece eri già credente quando vi siete incontrati?

Prima di entrare nel Cammino ero omosessuale, quando ho cominciato ad ascoltare le catechesi vivevo ancora con un uomo, ma grazie all’annuncio della Parola ho cambiato vita, ho chiuso questa relazione. Ho ascoltato queste parole che mi hanno toccato dentro: Qualsiasi cosa tu fai Dio ti ama”. Dio mi ha dato la vita perché io prima ero morto. Dio mi ha dato dignità. Non avevo mai aperto la Bibbia, non avevo mai capito niente e invece inspiegabilmente ho cominciato a leggerla, leggerla e capire, e tutto è cambiato. Ho assaggiato la Bibbia e ho capito quanto era buona. Io sono di El Salvador, avevo ricevuto i sacramenti ma ero fuori della Chiesa. Ho vissuto la guerra civile nella mia nazione, tutta la mia infanzia l’ho perduta perché c’era la guerra, non ho vissuto una vita bella. Sono stato cresimato da mons. Romero che mi ha avvicinato alla fede e che adesso diventerà santo.

Graziella, avete scelto subito di aprirvi alla vita?

Quando sono entrata in cammino ho capito che sarebbe stato bello essere aperti alla vita: noi donne siamo state create per questo. Per me è difficile occuparmi dei miei figli perché soffro di fibromialgia, ed il fatto che nonostante tutto ci riesca è un miracolo. Nel 2014 sono stata un anno a letto. Il miracolo è che Dio mi ha curato e adesso sto un po’ meglio. Ho cominciato a stare male nel 2009, e all’epoca il dottore mi disse che il mio problema era che facevo troppi figli. Soffrivo perché mi ero quindi convinta che la malattia dipendesse dai miei figli e mi sentivo molto in colpa per questo. Nel 2011 ci siamo offerti come famiglia per partire in missione, e lo scorso anno siamo stati mandati a Riga in Lettonia. Lì ho trovato un dottore che mi ha spiegato che la mia malattia non dipendeva dalle gravidanze, perché la donna è progettata per avere figli: ho trovato così la pace nel mio cuore. Il mio ultimo figlio è nato a Riga e questa è un’altra vittoria di Gesù Cristo: tutti mi pensavano folle perché stavo male e continuavamo con mio marito ad essere aperti alla vita. Nelle difficoltà e nella sofferenza pregavo il rosario e offrivo la mia malattia per la fede: Dio mi ha scelta per condividere la sua passione nel mio dolore. Penso valga la pena soffrire per amore della Chiesa, per i sacerdoti. Da quando siamo in missione mio marito mi aiuta di più perché ha finalmente capito la natura e le problematiche della mia malattia che inizialmente può sembrare a chi ti sta vicino solo un problema psicologico. Io adesso sono in pace, so che il dolore va e viene, ma il tempo della mia sofferenza non è sprecato: lo offro a Gesù.

Ora che siete in missione come riuscite ad andare avanti con 9 figli?

Abbiamo nove figli, Misael, Anna Maria, Rachel, Sebastian, Felipe de Jesus, Michelangelo, Barbara, Bernadette, Josè Alberto (4 mesi), ma non ci manca niente, Dio ci da la forza. Quando sto male e sono costretta a letto i miei figli sanno cosa fare, sono indipendenti. Sono molto felice di vivere a Riga nonostante il freddo. Ogni giorno è un miracolo. La nostra comunità ci aiuta molto e anche la Caritas e la gente del posto: ci portano il cibo, ci danno i vestiti… Il regime socialista li ha fatti molto soffrire, hanno pochi figli, ma quando ci incontrano e vedono la truppa dei nostri bambini sorridono e sono felici.
Quando non abbiamo da mangiare apro il Vangelo e quello è il nostro vero pane della giornata, con la certezza che dopo arriverà sicuramente qualcosa da mangiare. Ed è ogni volta così, perché il Signore provvede sempre. Siamo felici di essere venuti tutti insieme a Roma, mio marito ha guidato per 3 giorni e abbiamo dormito in macchina, ma siamo molto grati e contenti.

Tratto da Aleteia  scritto da Silvia Lucchetti

Contributi economici in favore di Famiglie Numerose, con almeno quattro  figli minori a carico | midiesis.it

No all’aborto – Si alla vita.

Preoccupata, una donna ha cercato il suo ginecologo.
Dottore, ho un problema molto serio e ho bisogno del suo aiuto! Il mio bambino non ha un anno e sono di nuovo incinta, non voglio un altro figlio. Allora il dottore ha detto:  cosa vuoi che ti aiuti? voglio abortire!  Dopo aver pensato per qualche istante, il dottore ha detto: senti, ho un’idea che mi sembra migliore e anche meno rischiosa. La donna sorrise soddisfatta. Così il medico ha continuato: senti, cosi non devi badare a due bambini, dobbiamo uccidere quello che è tra le tue braccia.  Così potrai riposare finché l’altro non sarà nato. Visto che stiamo per uccidere uno dei suoi figli, non importa quale di loro. Dicono che i figli sono tutti uguali per le madri. Non è così? Inoltre, la tua vita non sarà a rischio con le procedure chirurgiche, se scegli quello per uccidere. 
La donna rimase impressionata dalle parole del dottore e gli disse: che mostruosità mi sta proponendo. Uccidere un bambino è un crimine! Il medico le ha risposto:  sono d’accordo. Ma pensavo che non fosse un problema per te. Sto solo suggerendo che lei sia il figlio che verrà ucciso. Dal viso della donna, il medico ha visto che era stato in grado di chiarire il suo punto di vista. E lui l’ha convinta che non c’e ‘ differenza tra uccidere un bambino che è tra le sue braccia o una che è nella pancia. Il crimine è lo stesso.

Sai da quando Dio ti ama?  Dal ventre di tua madre

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Cinque sono le cose che un uomo rimpiange

Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. E non sono mai quelle che consideriamo importanti durante la vita. Non saranno i viaggi confinati nelle vetrine delle agenzie che rimpiangeremo, e neanche una macchina nuova, una donna o un uomo da sogno o uno stipendio migliore. No, al momento della morte tutto diventa finalmente reale. E cinque le cose che rimpiangeremo, le uniche reali di una vita.

 

La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda, dalle false attese nostre, per curare magari il risentimento di ferite mai affrontate. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.

 

Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni. Vorremmo chiedere scusa a tutti, ma non c’è più tempo.

 

Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza ”ti amo” a chi avevamo accanto, ”sono fiero di te” ai figli,”scusa” quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.

 

Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. Eppure il dolore a volte ce lo aveva ricordato che nulla resta per sempre, ma noi lo avevamo sottovalutato come se fossimo immortali, rimandando a oltranza, dando la precedenza a ciò che era urgente anziché a ciò che era importante. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudine in vita? L’abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.

 

Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall’abitudine, dall’accidia, dall’egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori. Quello che l’adolescente scorge nell’addensarsi del suo corpo: promesse. Quello che il giovane spera nell’affermarsi della sua vita: amori.

 

(Alessandro d’Avenia, Ciò che inferno non è)


Don Pino non rimpiange nessuna di queste cose. 

Le ha avute tutte nell’amore. 

Padre Pino Puglisi, il giorno del ricordo

L’anello

Un alunno presentò al suo professore un problema: “Sono qui, professore, perché sono tanto debole, e non ho la forza per fare niente. Dicono che non servo a nulla, che non faccio bene niente, che sono lento e molto stupido. Come posso migliorare? Che posso fare per valorizzarmi di più?”. Il professore senza guardarlo, disse: “Sono molto spiacente mio caro, ma ora non posso aiutarti, devo prima risolvere il mio problema. Forse dopo. E facendo una pausa parlò: Se mi aiuterai, potrò risolvere il mio problema con più rapidità e dopo forse potrò aiutarti a risolvere il tuo”. “Chiaro, professore”, balbettò il giovane, ma si sentì un’altra volta sminuito. Il professore prese un anello che portava al mignolo, lo dette al ragazzo e disse: “Monta a cavallo e vai fino al mercato. Devi vendere questo anello perché devo pagare un debito. È necessario che tu ottenga per l’anello il massimo possibile, ma non accettare meno di una moneta d’oro. Va e torna con la moneta il più velocemente possibile”. Il giovane prese l’anello e partì. Arrivò al mercato e cominciò a offrire l’anello ai commercianti. Essi lo guardavano con interesse, fino a quando il giovane diceva quanto pretendeva per l’anello. Quando il giovane menzionava una moneta d’oro, alcuni ridevano, altri andavano via senza nemmeno guardarlo, e solo un vecchietto fu amabile al punto di spiegargli che una moneta d’oro era molto preziosa per comprare un anello. Tentando di aiutare il giovane, arrivarono a offrire una moneta d’argento e una tazza di rame, ma il giovane ricusava le offerte seguendo le istruzioni di non accettare meno di una moneta d’oro. Dopo aver offerto il gioiello a tutti coloro che passavano al mercato e abbattuto per l’insuccesso, montò a cavallo e ritornò. Il giovane avrebbe desiderato avere una moneta d’oro per comprare egli stesso l’anello, liberando così il suo professore dalla preoccupazione e poter poi ricevere il suo aiuto e i suoi consigli. Entrò in casa e disse: “Professore, mi dispiace molto, ma è impossibile ottenere ciò che ha chiesto. Forse si potrebbero ottenere 2 o 3 monete d’argento, ma non credo che si possa ingannare nessuno sul valore dell’anello”. “È importante quello che mi dici, ragazzo”, obiettò sorridendo. “Prima si deve sapere il valore dell’anello. Prendi il cavallo e vai dal gioielliere. Chi meglio di lui può sapere il valore esatto dell’anello? Digli che vuoi venderlo e domanda quanto ti può dare. Ma non importa quanto ti offre, non lo vendere. Torna qui con il mio anello”. Il giovane arrivò dal gioielliere e gli dette l’anello da esaminare. Il gioielliere lo esaminò con una lente d’ingrandimento, lo pesò e disse: “Dica al suo professore che, se vuole venderlo ora, non posso dargli più di 58 monete d’oro”. “58 monete d’oro!”, esclamò il giovane. “Sì”, replicò il gioielliere, “io so che col tempo potrei offrire circa 70 monete, ma se la vendita è urgente…”. Il giovane corse emozionato a casa del professore per raccontare quello che era successo. Il professore dopo aver udito quanto offerto dal gioielliere, disse: “Lei è come questo anello, una gioia preziosa e unica. Può essere valutata solo da uno specialista. Pensava che chiunque potesse scoprire il suo vero valore? E così dicendo tornò a collocare il suo anello al dito”

Tutti noi siamo come questa gioia: preziosi e unici e andiamo per tutti i mercati della vita, pretendendo che persone inesperte ci valorizzino!

Gli alberelli

C’erano una volta, in cima ad una montagna, tre alberelli che sognavano quello che avrebbero fatto da grandi.

Il primo guardò le stelle che brillavano come diamanti al disopra di lui. “Io voglio custodire un tesoro, disse. Voglio essere ricoperto d’oro e voglio essere tempestato di pietre preziose. Sarà lo scrigno più bello dei mondo”.
Il secondo albero guardò il piccolo ruscello che scorreva scintillando verso l’oceano. “Io voglio essere un gran veliero, disse. Voglio navigare su vasti oceani e trasportare Re potenti. Sarò la nave più forte del mondo”.
Il terzo alberello guardò nella vallata sottostante e vide la città dove uomini e donne si affaccendavano. “Io non lascerò mai questa montagna, disse. Voglio diventare così alto che, quando la gente si fermerà per guardarmi, alzerà gli occhi al cielo e penserà a Dio. Sarò l’albero più grande dei mondo”.
E passarono gli anni. Caddero le piogge, brillò il sole e gli alberelli divennero grandi. Un giorno tre boscaioli salirono sulla montagna.
Il primo boscaiolo guardò il primo albero e disse: “E un bell’albero. E’perfetto.” In un lampo, con un colpo di accetta, il primo albero cadde. Pensò dentro di se: “Sto per diventare un magnifico scrigno! Custodirò uno splendido tesoro.”
Il secondo boscaiolo guardò il secondo albero e disse: “Un albero vigoroso. Proprio quello che andavo cercando.” In un batter d’occhio, con un colpo di accetta, il secondo albero cadde. “Navigherò ormai su vasti oceani, pensò il secondo albero. Diventerò una grande nave, degna dei Re.”
Il terzo albero si senti venir meno quando il boscaiolo lo guardò. “Qualsiasi albero mi va bene”, disse. E in un attimo, con un colpo di accetta, il terzo albero cadde.
Il primo albero si rallegrò quando il boscaiolo lo portò dal carpentiere, ma questi era davvero troppo occupato perché gli venisse in mente di pensare ci fabbricare degli scrigni! E, con le mani callose, trasformò l’albero in una mangiatoia per gli animali. Così, l’albero che un tempo era stato bellissimo, non era né ricoperto d’oro, né ripieno di tesori. Era ricoperto di segatura e pieno di fieno per nutrire gli animali affamati della fattoria.
Il secondo albero sorrise quando il boscaiolo lo trasportò verso il cantiere navale ma, quel giorno, a nessuno sarebbe venuto in mente di mettersi a costruire un veliero. A forza di martellate e di lavoro di sega, l’albero fu trasformato in una semplice barca da pesca. Troppo piccolo, troppo fragile per navigare su un vasto oceano e perfino su un fiume, fu portato su un laghetto. Tutti i giorni trasportava carichi di pesci morti, dal pessimo odore.
Il terzo albero divenne molto triste quando il boscaiolo lo tagliò per trasformarlo in grosse travi che accatastò nel cortile. “Ma che è successo?, si chiese l’albero che un tempo era stato molto grande. Io desideravo soltanto di rimanermene sulla montagna e di pensare a Dio!”
Passarono molti giorni e molte notti. I tre alberi dimenticarono quasi i loro sogni… Ma, una notte, la luce d’una stella dorata illuminò il primo albero, proprio mentre una giovane donna deponeva il suo neonato in una mangiatoia. “Avrei proprio desiderato fargli una culla…”, mormorò il marito. La madre strinse la mano del padre e sorrise mentre la luce della stella brillava sul legno ben levigato. “Questa mangiatoia è magnifica”, disse. E subito il primo albero seppe che custodiva il tesoro più prezioso del mondo. Altri giorni e altre notti passarono… ma una sera un viandante stanco ed i suoi amici si ammassarono nella vecchia barca del pescatore. Mentre il secondo albero vogava tranquillamente sul lago, il viandante si addormentò. Scoppiò all’improvviso il temporale e si alzò la tempesta. L’alberello fu preso da un tremito. Era consapevole che, con quel vento e quella pioggia, non avrebbe avuto la forza di trasportare in salvo tante persone! Il viandante si svegliò. Allargò le braccia e disse: “Pace!” La tempesta si calmò con la stessa rapidità con cui era scoppiata. E subito il secondo albero seppe che stava trasportando, il Re dei cieli e della terra. Qualche tempo dopo, un venerdì mattina, il terzo albero fu molto sorpreso quando le sue travi furono cavate fuori dal mucchio di legna dimenticata. Trasportato in mezzo alle grida di una folla irritata e beffarda, rabbrividì quando i soldati inchiodarono su di lui le mani di un uomo. Si senti orribile e crudele. Ma la domenica mattina, quando il sole si alzò e la terra tutta intera vibrò d’una gioia immensa, il terzo albero seppe che l’amore di Dio aveva tutto trasformato. Aveva reso il primo albero bello. Aveva reso il secondo albero forte. E, ogni volta che la gente avesse pensato al terzo albero, avrebbe pensato a Dio. E questo era molto meglio che essere il più grande albero del mondo.

La finestra aperta

Era un pò di giorni che il Signore non faceva un giro per il Paradiso…..

Una mattina quindi si svegliò deciso a controllare se tutto lassù filava per il verso giusto. Con sua grande sorpresa, vide, in mezzo ad un gruppetto di persone, un tipo che in vita sua non aveva mai concluso niente di buono, era un gran lazzarone, svogliato e poco credente.”Come ha fatto un individuo del genere a entrare in Paradiso? San Pietro dovrà rendermi conto di questo!” Continuò il giro di controllo ed ecco che scoprì tra gli altri beati una donna che in vita sua ne aveva combinate di tutti i colori. “Anche lei quì? Ma chi controlla  l’ingresso tra le anime beate? San Pietro dovrà spiegarmi anche questa!” Girando s’imbatte in altre persone che non si aspettava proprio di incontrare in Paradiso. A passi decisi, con viso che prometteva tempesta, il Signore si avviò verso l’ingresso del Paradiso. Lì, a fianco del portone, con le chiavi in mano, stava San Pietro. “Non ci siamo, non ci siamo proprio!”, lo affrontò severamente il Signore. “Ho visto gente qui intorno, che del Paradiso non è proprio degna! Che custode sei?  Non sarà che ti addormenti in servizio?” “Eh, no! Io non  dormo proprio!”, rispose risentito San Pietro. “Io alla porta ci sto, e con gli occhi ben aperti anche. E’ che sopra di me, c’è una piccola finestra. Di là ogni tanto tua Mamma Maria fa scendere una corda e tira su anche quelli che io avevo allontanato! A questo punto cosa dovrei fare? E’ inutile che faccia il portinaio! Do le dimissioni!” Il volto del Signore si distese in un gran sorriso. “Va bene, va bene!, disse bonariamente, cingendo le spalle di San Pietro con un braccio, come ai vecchi tempi. “Quello che fa Mamma Maria è sempre ben fatto. Tu continua a sorvegliare la porta e lasciamo che al finestrino ci pensi lei …”

Perchè Maria è invocata come “aiuto dei cristiani” e “rifugio dei peccatori”?
Perchè con Lei il Paradiso ha sempre una finestra aperta.

Cinque cose che un uomo rimpiange……..

Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire.


E non sono mai quelle che consideriamo importanti durante la vita. Non saranno i viaggi confinati nelle vetrine delle agenzie che rimpiangeremo, e neanche una macchina nuova, una donna o un uomo da sogno o uno stipendio migliore. No, al momento della morte tutto diventa finalmente reale. E cinque le cose che rimpiangeremo, le uniche reali di una vita.

 

La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda, dalle false attese nostre, per curare magari il risentimento di ferite mai affrontate. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.

 

Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo duramente, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni. Vorremmo chiedere scusa a tutti, ma non c’è più tempo.

 

Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza ”ti amo” a chi avevamo accanto, ”sono fiero di te” ai figli,”scusa” quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.

 

Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. Eppure il dolore a volte ce lo aveva ricordato che nulla resta per sempre, ma noi lo avevamo sottovalutato come se fossimo immortali, rimandando a oltranza, dando la precedenza a ciò che era urgente anziché a ciò che era importante. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudine in vita? L’abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.

 

Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall’abitudine, dall’accidia, dall’egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori. Quello che l’adolescente scorge nell’addensarsi del suo corpo: promesse. Quello che il giovane spera nell’affermarsi della sua vita: amori. 

Don Pino non rimpiange nessuna di queste cose. 

Le ha avute tutte nell’amore. 

 

(Alessandro d’Avenia, Ciò che inferno non è)

Il Vigile Urbano

CHE MESTIERE……

Che tormento ogni mattino, non trovare il cartellino,  e arrivare con l’affanno, per 300 giorni all’anno.

Come primo appuntamento, fai le scuole con sgomento, tra una sosta e una fermata fai la prima litigata,

Al mercato la mattina è la solita manfrina tra spintoni sputi e fischi sistemiamo gli spuntisti

Sono in sosta da un minuto … grida il solito “ cornuto” con le quattro frecce accese fermo lì da più di un mese

Ed i cani sporcaccioni, fan cacchette da leoni e il vecchietto benpensante, le segnala prontamente

Sono in coda da tre ore … intervenga per favore !!!
Il parcometro è scassato sono proprio disperato !!!
Dove posso scaricare … dobbiamo uniti lavorare !!!

E quando credi che è passato, ecco arriva la chiamata il tuo capo allegramente, ti rifila un incidente.

E’ impegnata la Stradale, va su e giù per la Statale anche l’Arma è latitante, sempre presa nel Vergante:

La gazzella e la pantera, sono sempre una chimera quindi è solito il finale, tocca alla Municipale.

Stanco e stufo rientrando, vedi folla lì al Comando tutta gente esagitata, in giornata sanzionata.

Accusato di omissione, dopo ogni spiegazione sorvolando ogni commento, la protesta plachi a stento.

I giudizi sugli Agenti, sono sempre più presenti “stanno sempre a passeggiar, bivaccando dentro un BAR”

Si, fa parte del mestiere, ma ora fateci il piacere la pazienza è una virtù, ma non ne possiamo più.

 

 

Non è compito mio

Questa è la storia di quattro persone

 

 

OGNUNO,   QUALCUNO,  CIASCUNO e NESSUNO.

C’era un lavoro importante da fare e

OGNUNO era sicuro che 
QUALCUNO  lo avrebbe fatto.

CIASCUNO avrebbe potuto farlo ma  
NESSUNO lo fece mai.

QUALCUNO si arrabbiò perché
era un lavoro di OGNUNO.

OGNUNO pensò che
CIASCUNO poteva farlo e

NESSUNO capì che
OGNUNO non l’avrebbe fatto finì che

CIASCUNO  incolpò  
QUALCUNO  perché

NESSUNO  fece mai ciò che  
OGNUNO  avrebbe potuto fare.

Suor Maria di Nazareth

TESTIMONIANZA VOCAZIONALE DI SUOR MARIA DI NAZARETH, O.P. (Monastero di Nostra Signora della Pietà)

La pace di Cristo Risorto sia con tutti voi. Mi chiamo Suor Maria di Nazareth, sono una suora domenicana che scoprì la sua vocazione durante il Cammino Neocatecumenale. Dopo essere entrata in Monastero mi hanno invitato a raccontare la mia esperienza affinché aiutassi altre ragazze che potrebbero trovarsi in una situazione simile. Entrai in Cammino molto giovane, appena compiuti i 14 anni. I miei genitori erano già in Cammino da due anni, nella stessa parrocchia, ma in una comunità diversa. Sin dall’inizio mi piacque molto il Cammino, soprattutto le Eucaristie, tanto partecipate e alla portata di tutti; ma anche le celebrazioni della Parola e le Convivenze mi riempivano di gioia. In molte occasioni “sentivo” il Signore e condividevo questa esperienza anche con altri fratelli che parlavano nelle loro risonanze di sentire la Sua presenza nelle vicende della vita, perfino fisicamente. Associai sempre la ricerca della mia vocazione ai pellegrinaggi, nei quali il Papa convocava i giovani. Il primo al quale presi parte fu quello di Santiago di Compostela, nell’anno 1989. Avevo allora 19 anni ed ero al 2º scrutinio aperto; ancora non conoscevo la mia vocazione. Volevo diventare “itinerante” ed avevo molta paura che il Signore mi chiamasse ad essere suora, perché neanche questa parola mi piaceva. Mi colpì ciò che Kiko disse e cioè che non vedeva per il momento la necessità di fondare una nuova congregazione nella Chiesa perché la donna di oggi può santificarsi in qualsiasi situazione. Io, comunque, continuai a sperare e continuai la mia vita quotidiana con gli studi, gli amici, e i lavoretti che si presentavano: non mi mancava niente. L’estate successiva passai da Valencia, di ritorno dalle mie ferie con alcuni fratelli di Comunità, e ci incontrammo con due suore domenicane che ci invitarono ad assistere alla vestizione di una novizia. All’inizio non volevo andare, ma finalmente mi decisi e mi presentai sola e tremavo dalla paura. Dopo avere conosciuto la Maestra delle Novizie, le chiesi di fare un’esperienza. Senza sapere quello che dicevo, perché neanche consultai i miei catechisti, e tanto meno i miei genitori che già incominciavano a sospettare! Durante l’esperienza successe di tutto, ma il Signore sigillò qualcosa nel mio cuore che mi incitava a ritornare. Quello di dedicare la mia vita alla lode “con salmi, inni, e cantici spirituali” ricordando continuamente la Liturgia che celebriamo, per le numerose volte che assistevo al Coro mi riempiva di gioia. Ma ancora non vedevo con chiarezza che quello era il mio posto. Quando lo raccontai ai miei catechisti mi invitarono ad andare in Polonia. Io non volevo andare e neanche avevo i soldi. Questa “scusa” non mi servì a niente, perché il Signore fu tanto generoso con me che mi mise un lavoro su di un vassoio. Lì mi alzai per la prima volta, nonostante i miei sogni di sposarmi, formare una famiglia numerosa e partire itinerante, continuavano ad essere vivi. Passò un altro anno e conobbi le Sorelline di Betlemme, con le quali passai il mese di Agosto nel loro Monastero di Grenoble. Fin da allora già volevo essere solo per il Signore. Ed arrivò il pellegrinaggio di Denver. Confidai nel Signore affinché mi indicasse il posto dove voleva che io l’amassi di più. Lì mi alzai di nuovo ed i catechisti mi invitarono a prendere la decisione definitiva. Maria fu quella che mi portò per mano fino al Monastero palentino. Durante la veglia dell’Immacolata feci una risonanza. Non sapevo bene quello che dicevo, ma la comunità di sorelle domenicane con la quale celebravo lo sapeva. Vedevano che il Signore. mi aveva toccato il cuore, nonostante continuassi coi miei dubbi: volevo avere tutta la sicurezza, tutto contato, misurato e pesato. Senza darmi retta, il Signore appianò le strade; lasciai tutto, i miei genitori e sorelle, i miei amici e il Cammino Neocatecumenale, che tanto amavo e che ancora ora amo, per elevarmi ad una dimensione contemplativa. Ora sono da 7 anni in Monastero e ogni giorno amo sempre più questo mondo tanto necessario a Dio, e dalla mia vocazione di contemplativa, incoraggio le altre affinché, senza paura, prendano la torcia della loro vita per lasciarsi incendiare dal fuoco dello Spirito. Ricevete il mio abbraccio di sorella in Cristo Suor Maria di Nazareth, O.P

Fonte: Abbà Padre, Neocatecumenali on line