Il Leader

Non tutti nascono leader:
ecco le 12 caratteristiche di chi non è fatto per comandare

  • Non ama rischiare
    Un leader sa che per vincere deve scommettere. A costo di perdere.
  • Non è particolarmente empatico
    È peggio non essere competenti o non essere in grado di calarsi nei panni degli altri,
    ascoltare e dare una mano? La verità è che capacità di dialogo e compassione
    è più importante per un leader della fierezza.
  • Non porta a casa risultati
    Lo conoscete quel detto, giusto?
    La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Che non contano nulla senza i fatti.
  • Porta a casa i risultati barando
    Invece un grande leader conosce il valore dell’impegno,
    e il sapore amaro di una vittoria conseguita con l’inganno.
  • È indifferente
    Avere a cuore la causa definisce un ottimo condottiero
    la cui tempra morale e il cui senso etico dovrebbero essere inattaccabili.
  • È interessato al potere, non all’obiettivo
    Perché la sua grande opera, in definitiva, è se stesso.
  • Marginalizza alcuni a favore di altri
    E così facendo costruisce un ambiente competitivo e/o rassegnato in ufficio.
  • Fa promesse che non mantiene
    Perché parla tantissimo, ma fa molto poco.
  • Segue le regole e ha paura di infrangerle
    Invece l’innovazione è fatta di errori: l’importante è rialzarsi quando si cade.
  • Spreme il talento degli altri, ma non lo riconosce mai
    È tipicamente avido di complimenti.
  • Si prende tutto il credito
    E non offre riconoscenza a nessuno.
  • È un autocrate
    Crede di essere l’unico in possesso delle qualità necessarie alla leadership (che non ha)

La clinica del Signore

Sono stato nella clinica del Signore per farmi dei controlli di routine e ho constatato che ero ammalato: 

Quando il Signore mi misurò la pressione, ho visto che avevo la Tenerezza “bassa”.

Nel misurarmi la temperatura, il termometro registrò 40º di Ansietà. Mi fece un elettrocardiogramma e la diagnosi fu che avevo bisogno di diversi by pass di Amore, perché le mie arterie erano bloccate dalla Solitudine e non irroravano il mio cuore vuoto.

Andai in Ortopedia, dato che non potevo camminare al fianco del mio fratello, e non potevo dargli un abbraccio fraterno, perché lo avevo fratturato inciampando nell’Invidia. Mi riscontrò anche una Miopia, dato che non potevo vedere al di là delle cose negative del mio prossimo. Quando dissi di essere Sordo, il Signore mi diagnosticò che avevo tralasciato di ascoltare ogni giorno la sua Voce.

È per questo che il Signore mi ha fatto una consulenza gratuita, e, grazie alla sua grande misericordia, prometto che, uscendo da questa Clinica, prenderò solamente le medicine naturali che mi ha prescritto attraverso la sua Verità:

 

•Appena alzato dal letto, bere un bicchiere di “Riconoscenza”. 

•Prima di andare al lavoro, prendere un cucchiaio di Pace. 

•Ad ogni ora, ingerire una compressa di Pazienza e una coppa di Umiltà. 

•Al ritorno a casa, iniettarmi una dose di Amore x la mia famiglia.

•E, prima di andare a letto, prendere due capsule di Coscienza Tranquilla. 

•Non deprimerti né disperarti prima di vivere questo giorno. Dio sa come ti senti.
Dio sa perfettamente quello che sta succedendo nella tua vita, proprio in questo momento,
 

•Il disegno di Dio su di te è meravigliosamente perfetto. Egli desidera mostrarti molte cose che comprenderai solamente stando nel posto dove attualmente stai ora e nella condizione che vivi in questo posto. 

•Che Dio ti Benedica sempre!!

Vangelo del 18 ottobre Lc 10, 1-9

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”». Lc 10, 1-9

Riflessione…
Gesù aveva già inviato i Dodici (cf. Lc 9,1-6), da lui scelti e chiamati apóstoloi, missionari-inviati, ma ora ne invia altri settantadue, tanti quanti il numero delle genti abitanti la terra secondo la tavola delle nazioni di Genesi 10 (nella versione greca dei LXX). Li invia davanti a sé come precursori e preparatori della sua prossima venuta: quello che Giovanni il Battista aveva fatto prima che Gesù si manifestasse a Israele (cf. Lc 3,1-18), ora lo fanno i discepoli, affinché il Signore trovi i cuori pronti ad accogliere la buona notizia del regno di Dio.
Gesù si ferma a spiegare in modo particolare lo stile del discepolo inviato da lui, il Signore, e da lui totalmente dipendente. Non sarà come alcuni missionari farisei, né come i filosofi itineranti, né come i rabbini visitatori. Sarà piuttosto come il levita del salmo 16, che nella sua povertà proclama: “Il Signore è mia porzione e mio calice” (v. 5), perché confiderà solo nel Signore. Sarà povero, non misero, ma senza denaro con sé, senza assicurazioni per il viaggio, e attuerà innanzitutto un contatto cellulare, entrando nelle case, incontrando sulle strade quelli che cercano la vita piena. A costoro, “figli della pace”, della vita in pienezza, gli inviati augureranno lo shalom, la pace, e con loro entreranno in rapporti umanissimi: mangiando e bevendo alla loro tavola, senza l’ossessione della purità delle persone e dei cibi… In tutti gli inviati deve regnare e manifestarsi la gratuità, che essi mostreranno anche prendendosi cura gratuitamente degli altri, curando i malati nel corpo nella mente e nello spirito e annunciando a tutti che il regno di Dio si è avvicinato.
Luca ha adempito perfettamente il mandato affidatogli dal Maestro divino; lo ha fatto con la predicazione e con il suo Vangelo, che, ancora oggi, letto ed accolto nelle chiese del mondo ci consente di sentire ancora viva la sua voce. Se anche noi accogliamo e poi trasmettiamo il Suo annuncio con la nostra vita, possiamo meritare il titolo di evangelisti.

Don Salvatore

Vangelo del 17 ottobre Lc 11,42-46

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».

Riflessione…
Credo che ogni parroco come me vorrebbe almeno qualche fariseo tra i propri parrocchiani. Pensate! Versavano il decimo del proprio stipendio al Tempio! Sapete questo cosa significa? 1)Risolveremmo un sacco di problemi economici delle nostre comunità.
2)I farisei si impegnavano a vivere con scrupolo la legge, per amore di Dio e dell’alleanza cercavano con la fedeltà di contrastare al generale rilassamento del popolo. E’ l’atteggiamento che, alle volte, vedo in alcuni gruppi o persone che, con semplicità e rettitudine, cercano di mantenersi fedeli al Vangelo.
Ma tutto questo non va perché ai farisei manca il “MEGLIO”. Ai farisei manca l’amore. Sono così concentrati su se stessi da dimenticare l’amore.
Prima di qualsiasi legge c’è l’amore, e l’amore è il metro di giudizio e dell’opportunità della legge. Un amore serio, severo, esigente – come dev’essere l’amore – ma pur sempre amore. Ecco: i farisei erano deficitari in amore, scarsi in affetto, mancanti di quella compassione che – invece – Gesù dona con abbondanza. Il Maestro non giudica le persone deboli: le ama, non le offende; le rispetta, non mostra loro i difetti: ama il peccatore disprezzando il peccato. E la sua tenacia scardina i cuori, smuove Matteo, fa scendere Zaccheo, fa piangere la prostituta, incrina la saccenza di Nicodemo, inquieta Pilato. Non trascuriamo le norme, i gesti che concretizzano la fedeltà al Signore e la rendono possibile, ma allarghiamoli e riempiamoli di senso con l’amore che Dio solo può dare e che siamo chiamati a distribuire con generosità. Un appunto, ancora, a chi nella comunità si occupa dei fratelli, ai ministri: Gesù non ha peli sulla lingua e non si preoccupa di offendere nessuno: chiede ai dottori della legge di vivere ciò che propongono, di non affidare pesi che essi non sfiorano neppure con un dito, Fratelli preti, amici religiosi, il nostro mondo non ha bisogni di guru o di maestri, ma di testimoni autentici, che non hanno paura dei loro limiti e che sanno valorizzare le persone.
Il piglio di Gesù, oggi, ce lo mostra uomo deciso, schietto, ben diverso da quell’immagine melensa e rassegnata che alle volte immaginiamo: l’amore alle volte è esigente, pretende perché dona tutto.
Donaci, Signore, autenticità di cuore, di non trascurare la norma riempiendola però d’amore, di non sentirci maestri ma fratelli, di non avere paura quando, attraverso la vita, ci chiedi di cambiare atteggiamento. Tu ci ami, Signore, ogni giorno e per l’eternità. Signore fa sorgere una nuova alba di luce nella tua Chiesa.

  Don Salvatore

Vangelo del 16 ottobre Lc 11, 37-41

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro». Lc 11, 37-41

Riflessione…
“Date in elemosina quel che c’è dentro”: Gesù contesta l’atteggiamento esteriore del fariseo che, dopo averlo invitato a pranzo, si scandalizza della sua libertà interiore. Brutta malattia, il fariseismo, che contagia, troppo spesso, anche noi. Colpisce, normalmente, coloro che con devozione vogliono avvicinarsi a Dio con sincerità di cuore. E’ lì che l’avversario li aspetta, per suggerire loro lo scrupolo spacciato per ardore di spirito. Gesù contrappone alla scrupolosa osservanza della norma un cuore leggero e libero, che sta più attento al “dentro” che al fuori. Eppure… ho visto litigi abnormi tra cristiani su come debba andare vestito un prete o su quale orario scegliere per la celebrazione domenicale…, troppe volte nella Chiesa ingrandiamo i problemi piccoli così che i veri problemi – quelli grandi – restano nascosti. No, amici, il Rabbì ci insegni davvero a guardare col cuore, a giudicare con tenerezza, ad andare all’essenziale, a conservare con intelligenza i gesti, i riti, le abitudini riempiendole di significato e di verità e a dare in elemosina il “dentro”.
Frase misteriosa, eppure densa di profezia, quella che Gesù pronuncia: l’elemosina che siamo chiamati a dare non è quella doverosa al fratello povero ma, soprattutto, quella molto piu’difficile di noi stessi. Diamo in elemosina la nostra stessa vita, regaliamola al Signore perché la faccia diventare testimonianza per i fratelli, spendiamoci per il Regno, il grande sogno di Dio. Ricordo un aneddoto dell’Abbé Pierre: nella Francia postbellica, si trovò accanto ad un giovane che si era gettato nella Senna e che era stato salvato e invece di dirgli le solite ritrite banalità lo fissò e gli disse: “Non so perché volessi buttare via la tua vita, ma fammi un favore: regalamela”; quel giovane divenne uno dei pilastri della fraternità di Emmaus. Coraggio, amici, mettetevi in gioco, oggi, là dove siete: in ufficio, in casa, sulle strade della vostra città, potete sicuramente elemosinare un sorriso, lanciare un augurio, diventare portatori di bene facendo una preghiera per lo sconosciuto compagno di viaggio sul bus. Date quel tanto bene che c’è in ciascuno, oggi, fate elemosina di voi stessi, vedrete, ne vale la pena!
Tu, Dio generoso, hai dato in elemosina te stesso, ti sei totalmente e definitivamente donato all’umanità con cuore libero e generoso. Rendici capaci, Signore, di donare la vita, perché c’è molta più gioia nel donare che nel ricevere, Dio benedetto nei secoli!

 Don Salvatore

Vangelo del 15 ottobre 2018 Lc 11,29-32

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:
«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona». Lc 11,29-32

Riflessione…
“Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno”…E’ come se fossimo annoiati del quotidiano, come se avessimo sempre bisogno di gesti eclatanti, di manifestazioni straordinarie, di miracoli strepitosi. Eppure Gesù è consapevole che il miracolo è ambiguo, che possiamo credere al miracolo senza riconoscere chi lo compie e cercare Dio per ciò che opera, non per ciò che egli è davvero. Il miracolo può essere una scorciatoia, un’emozione che – una volta passata – ci lascia intatti nella nostra indifferenza. Attenti, a non correre dietro ai presunti miracoli, ma a riconoscere l’unico grande segno che il Cristo ci ha lasciato: il segno di Giona. Giona profeta, venne inghiottito da un pesce in mare aperto e poi ributtato sulla terra per compiere la sua missione secondo la parabola che lo descrive. Così Gesù resterà per tre giorni nel ventre della morte prima di ritornare in vita. La resurrezione è il grande segno da riconoscere, la grande novità della fede.
Sappiamo riconoscere – noi i discepoli – i tanti segni della presenza del Maestro durante questa giornata; che non ci accada di abituarci a Dio, di essere inghiottiti dalla quotidianità. Restiamo desti, col cuore spalancato ai tanti piccoli segni attraverso cui il Signore, certamente, oggi ci raggiungerà: magari una telefonata, una scena sulla metro, un raggio di sole che ci raggiunge in casa, questa Parola che state ascoltando… Lo stupore che ha convertito gli abitanti di Ninive alla predicazione di Giona, la curiosità della regina di Saba che si mise in cammino per incontrare il re d’Israele la cui sapienza era diventata leggendaria: questo l’atteggiamento che oggi ci è chiesto.
Ben più di Giona c’è qui, ben più di Salomone: la presenza del Signore Gesù stesso ci accompagnerà in questa giornata in cui siamo invitati al banchetto di nozze di Dio.
Signore, Maestro, donaci oggi di riconoscere i segni della tua presenza in ciò che faremo, nelle persone che incontreremo, e di stupirci, ancora e sempre, della tua amicizia, perché ben più di Giona c’è qui, ben più di Salomone: il Figlio di Dio incarnato, amico degli uomini che vive con noi nei secoli dei secoli.

 Don Salvatore

Vangelo del 13 ottobre Lc 11, 27-28

In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».
Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». Lc 11, 27-28

Riflessione…
Oggi è una voce anonima di una donna, che sgorga dalla folla e grida: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Comincia già ad avverarsi la profezia della Madre di Cristo. Egli però ha da proclamare una più ampia e universale beatitudine: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». È una evidente conferma alle parole profetiche della Madre sua. Lei per prima ha ascoltato, accolto e messo in pratica la parola del Signore, che le è stata proclamata dall’Angelo Gabriele.

Maria è quindi beata, non solo perché ha avuto il singolare e sublime privilegio di accogliere e generare il Verbo di Dio nella sua carne mortale, ma ancor più perché si mostrata docile alla volontà divina e, come il suo dilettissimo Figlio, ha accettato il piano divino fino al Calvario, condividendo con lui la passione. Quanto Maria ha fatto, come umile e docile discepola, anche noi siamo chiamati a farlo con tutta la nostra vita. Su ciascuno di noi il buon Dio ha un piano di salvezza, che egli ci rivela nel tempo e nelle circostanze di ogni giorno.

Possiamo essere beati se conformiamo la nostra volontà a quella del Signore. Dobbiamo perciò essere ascoltatori attenti della sua parola. Dobbiamo avere Cristo e la sua Madre come nostri modelli. Occorre riscoprire l’umiltà del cuore e la sincerità con noi stessi per diventare avidi della parola di Dio, bisognosi della sua verità e della sua grazia e infine capaci di operare il bene. Il Signore ce lo conceda.

Don Salvatore

Vangelo del 12 ottobre Lc 11, 15-26

In quel tempo, [dopo che Gesù ebbe scacciato un demonio,] alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.
Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.
Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.
Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima». Lc 11, 15-26

Riflessione…
Noi credenti sappiamo bene nonostante molti non vogliono credere che il demonio esiste ed opera in mezzo a noi.
Stiamo attenti però perché non ha nulla a che vedere con quell’eroe tragico della nostra modernità con quei cristiani che lo vedono ovunque e giocano a fare gli esorcisti. Esiste il demonio, colui che divide, che ci vuole allontanare da Dio e lo fa evidenziando le scelte negative che, in massima libertà, possiamo compiere. Ci sono persone indemoniate, e grazie a Dio anche quelle possono essere liberate, ma la maggior parte di noi potrebbe farsi prendere, e tante volte lo fa, da quella parte oscura che prendendo il sopravvento sulla nostra mente e la nostra anima possono inclinarla verso il male e il peccato. Ma, e questa è la buona notizia, Gesù è l’uomo forte che strappa la casa del nostro cuore ad ogni tenebra. Coltivando la nostra interiorità con la preghiera e la frequenza ai sacramenti siamo tutelati e messi al sicuro da ogni oscurità. Non cerchiamo, però, di essere perfetti agli occhi di Dio: a volte sperimentiamo un limite per dimorare nell’umiltà che ci permette di presentarci con verità davanti al Signore e Maestro. Come dice la parabola, guai se la nostra anima fosse troppo linda e pulita! Restiamo sereni, accogliamo i nostri limiti, accogliamo in noi Gesù, l’uomo forte.

 Don Salvatore

Vangelo del 11 ottobre Lc 11, 5-13

In quel tempo, Gesù disse ai discepoli:
«Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!». Lc 11, 5-13

Riflessione…
Quante volte ci è capitato di dire: “Ho pregato, ho chiesto, ma non stato esaudito, Dio non mi ha ascoltato”. Perché? Eppure, a ben leggere questa pagina di Vangelo, Gesù ci invita alla perseveranza e all’insistenza; perché, dunque, ci capita di restare inascoltati?
L’indicazione che il Vangelo ci offre è quella di chi ha un rapporto da figlio a Padre. La prospettiva in cui dovremmo metterci è quella del figlio che parla con il Padre, dell’amico che sveglia l’amico e non di chi pretende. Potremmo rischiare infatti, di pretendere da Dio ciò che sono solo nostri capricci, come quei bambini che stando con i genitori in ogni negozio chiedono un giocattolo e se non sono accontentati iniziano a fare a lagnarsi. Così facciamo con Dio fino ad esclamare, se non siamo accontentati: “Dio, non esisti! Se esisti fa’ che io…”.Una logica di questo tipo “usa” Dio, senza che di Lui veramente mi importi qualcosa. In questa prospettiva, sono io al centro del Regno, del Cosmo, e Dio è a mio servizio. So io dove sta la mia felicità, il mio qui e subito, il mio desiderio appagato. Molto spesso le nostre preghiere non vengono esaudite perché non sono il nostro bene, non vengono ascoltate perché restano nel limitato orizzonte di ciò che io considero essenziale alla mia felicità, senza ascoltare il Padre che da’ cose buone a colui che gliele chiede. Gesù conclude dicendo: chiedete tutto e vi sarà dato lo Spirito Santo. Incredibile! Fosse per noi diremmo: ” tientelo pure lo Spirito, a me serve invece…”. No, amici: lo Spirito è colui che dobbiamo continuamente invocare, chiedere, pregare, colui che ci fa vedere la realtà con gli occhi di Dio. Al figlio che chiede aiuto, Dio risponde inviando il suo Spirito che ci aiuta a vedere da dentro, sul serio, la nostra vita.
La nostra, Signore, sia sempre una preghiera rivolta ad un padre buono che sa di cosa hanno bisogno i propri figli, Dio benedetto nei secoli!

Don Salvatore

Vangelo del 10 ottobre Lc 11,1-4

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione». Lc 11,1-4

Riflessione…
In modo forse non del tutto consapevole, i discepoli di Gesù, tante volte testimoni delle notti insonni che il loro maestro passava in preghiera, gli rivolgono a loro volta una semplice invocazione, una vera preghiera: «insegnaci a pregare». La risposta di Gesù è il Padre nostro. Ci saremmo aspettato una lunga dissertazione sulla preghiera, un vero e proprio trattato, una scuola di preghiera, come si deve pregare…

Il Signore invece scandisce, semplicemente e senza preamboli, un modello di preghiera da cui tutti gli oranti del mondo hanno attinto la primaria ispirazione per rivolgersi a Dio nel modo più semplice ed efficace. Potremmo, ancora oggi sperimentare che ogni essere umano, che sia animato da una certa fede e da un minimo di religiosità, volentieri reciterebbe con noi la preghiera di Gesù. Ciò che invece forse sfugge anche a noi cattolici è il saper cogliere da quella preghiera i frutti di un essenziale programma di vita. Affermiamo infatti il primato di Dio nella nostra vita e lo riconosciamo come Padre di tutti proclamando la santità del suo nome.

Ci impegniamo di conseguenza a vivere la fraternità perché il Regno di Dio si espanda ovunque e in tutti. Professiamo poi la fede nella divina provvidenza che non ci lascia mancare il necessario per vivere e ci nutre di pane e di grazia. Consapevoli delle nostre umane debolezze e delle ricorrenti tentazioni che vorrebbero indurci al male, ci affidiamo alla sua misericordia e dichiariamo la nostra disponibilità ad usarla a nostra volta verso il nostro prossimo. L’ultima richiesta è legata alla nostra soggezione al peccato.

Ecco… il Signore ci accompagni sempre e in particolare non ci abbandoni nella tentazione. Perché suo sia il Regno, sua la Potenza e la Gloria nei secoli.

 Don Salvatore