Vangelo di giovedì 27 settembre Lc 9, 7-9

In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo. Lc 9, 7-9

Riflessione…
“ E cercava di vederlo”. È interessante questa nota che il narratore offre al lettore. Erode vuole vedere, qualcuno ha scritto che egli è curioso ma noi sappiamo bene che egli ha paura. Ricordate il padre cosa chiede ai Magi? Ditemi dove sta perché venga anch’io ad adorarlo. Quanta falsità in queste parole, Erode padre e adesso Erode figlio, sono accomunati dallo stesso falso desiderio di ricerca e di voler vedere Gesù. In realtà non voglio vedere, non voglio cercare perché la menzogna si è impadronita del loro cuore. Loro vorrebbero distruggere perché si sentono minacciati. Il potere è così quando si sente minacciato cerca le vie di distruzione. Ci chiediamo:
Come cerchiamo Gesù, come affrontiamo la consapevolezza che il potete ci viene donato per servire? Come accogliamo l’invito di Gesù alla mansuetudine alla bontà con sincerità ed apertura di cuore? Nel vangelo abbiamo molte testimonianze di persone che cercano Gesù per un miracolo, una guarigione, per amore e un tentativo di riscatto della propria esistenza: per ognuna vi è una buona parola, un gesto di accoglienza e per tutti possiamo sentire quello che Gesù dice alla peccatrice: «le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato».

Don Salvatore A.

 

Vangelo del 26 settembre Lc 9, 1-6

In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni. Lc 9, 1-6

Riflessione…
Fatevi prossimi! È questo l’invito forte che Gesù fa ai suoi apostoli prima di intraprendere il faticoso e duro viaggio verso Gerusalemme. La Chiesa, la Sua comunità è chiamata ad assumersi il dolore, la sofferenza, le speranze di tante persone…mi risuonano le parole di Papa Francesco quando disse:
“Ho detto alcune volte che la Chiesa mi sembra un ospedale da campo: tanta gente ferita che chiede da noi vicinanza, che chiede da noi quello che chiedevano a Gesù̀: vicinanza, prossimità̀. (…) Si tratta di uscire e alzare lo sguardo: “Quanta povertà e solitudine purtroppo vediamo nel mondo di oggi! Quante persone vivono in grande sofferenza e chiedono alla Chiesa di essere segno della vicinanza, della bontà, della solidarietà e della misericordia del Signore”».
Papa Francesco nel Discorso ai Catechisti, 19 settembre 2014. Nessuno rifiuti tanto amore.

Don Salvatore A.

Vangelo del 25 settembre Lc 8, 19-21

In quel tempo, andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.
Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».
Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». Lc 8, 19-21

Riflessione…
Il vangelo oggi ci dà una bellissima ed entusiasmante notizia: possiamo essere fratelli e sorelle di Gesù e addirittura sua madre se accogliamo la sua parola e la viviamo. E’ sempre consolante sapere che qualcuno ci ama, anche di al di là delle relazioni familiari: la Chiesa diventa così un luogo di accoglienza fraterna, una comunità ove si fa l’esperienza della concordia e della bontà, un popolo unito non da legami di sangue, ma di fede. Con Dio non vi è nessun limite e nessuna emarginazione: tutti siamo suoi figli e figlie e fratelli e sorelle tra noi. Spiritualmente possiamo diventare “madri” di Cristo – sull’esempio di Maria, donna di fede e di carità – quando ascoltando la Parola divina, la realizziamo concretamente nella nostra vita con una testimonianza coerente e autentica.
Gesù presenta la sua comunità come una situazione nuova: non è fondata su legami parentali, ma sulla medesima esperienza di fede, con relazioni comunitarie più ampie di quelle familiari.

Don  Salvatore A.

Vangelo del 24 settembre Lc 8,16-18

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.
Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce.  Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere». Lc 8,16-18

Riflessione…
Per Gesù il discepolo è lampada che deve essere posta sul lampadario. Due annotazioni in questa immagine. Da un lato è un invito a rendere sempre, con le nostre azioni, con le nostre parole, con i nostri sentimenti, testimonianza della luce.
Il cristiano è tale sempre: non è un impegno a «part time» – come si direbbe oggi, dove la provvisorietà sembra essere una caratteristica della nostra società. Nella famiglia, sul lavoro, nelle mia attività, nel volontariato, anche nei momenti di svago e di riposo riesco sempre a far brillare questa luce? Un’altra considerazione, che è fonte non solo di consolazione ma di forza per noi. Noi non siamo la luce, ma la trasmettiamo.
La luce, la Luce quella vera non proviene da noi; se dovessimo solo affidarci alle nostre forze ed alle nostre capacità la luce con quale intensità potrebbe brillare? Noi dobbiamo renderci trasparenti a questa luce, che è la forza dello Spirito Santo che agisce in noi e che accogliamo, come dice lo stesso Gesù in un altro brano, con «cuore buono e sincero».
L’opera di Dio deve brillare in noi; Gesù stesso ci insegna a come attuare questo proponimento «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».

 Don Salvatore A.

Vangelo del 22 Settembre Lc 8,4-15

In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano.
Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza. Lc 8,4-15

Riflessione…
Ricorrendo ad una parabola l’evangelista descrive in modo semplice e facilmente comprensibile, le reazioni interiori, quelle positive e quelle negative che ci accompagnano. Il nostro cuore viene paragonato ad un terreno di diversa natura su cui viene sparsa la parola di Dio come buon seme tutto destinato a moltiplicarsi in copiosi frutti.
Abbiamo la più ampia garanzia circa la bontà del seme: è la parola di Dio, la verità assoluta, il bene ultimo, la luce vera che illumina la nostra mente e ci conforma a Cristo. È la provvida informazione che egli ci ha voluto rivelare nella sua persona e nel suo Vangelo. L’esito del raccolto dipende quindi soltanto da noi. La strada accoglie comunque il seme, ma non ha la linfa per farlo fruttificare; il diavolo ha buon gioco; ciò che è duro non assorbe in profondità e facilmente viene portato via. La stessa sorte è riservata ai cuori di pietra, facili ai momentanei entusiasmi, ma troppo superficiali per consentire al seme di mettere radici.
Le spine delle preoccupazioni e delle distrazioni, le superficialità, la ricerca delle umane ricchezze e dei facili piaceri non consentono ai semi di giungere a maturazione. Accogliere con fede, custodire «con cuore buono e perfetto» consente invece di ascoltare e produrre con perseveranza frutti abbondanti. Sono così descritte le nostre reali situazioni spirituali. Sono questi i nostri comportamenti, questi i modi diversi di ascoltare il Dio che parla, il Cristo, verità incarnata. Un primo passo potrebbe essere quello di recuperare il silenzio, sia all’interno del nostro spirito che all’esterno.
Non è facile ai nostri giorni difendersi dal bombardamento continuo dei rumori e dalle frenesie che ci àgitano interiormente. Bisogna avere il coraggio di decelerare, trovare un incedere più calmo, darsi e dare a Dio spazi e momenti di ascolto.

 Don Salvatore A.

Vangelo del 21 settembre Mt 9, 9-13 

In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori». Mt 9, 9-13 

Riflessione…
Che esperienza che fa Matteo, da brividi!
«Egli si alzò e lo seguì». Una risposta immediata ad un comando puntuale.
Il banco delle imposte dove sedeva Matteo poteva essere anche considerato una comoda poltrona e un buon mestiere, che garantiva un reddito sicuro e un discreto prestigio oltre che incutere timore. Non è perciò facile distogliere dalla loro posizione persone così ben accomodate e apparentemente soddisfatte.
Gesù lo fa con un imperativo categorico: «Seguimi». Evidentemente il Signore voleva sin dal primo impatto rivelare una grandissima verità al suo futuro apostolo ed evangelista: la forza divina della sua Parola, quella parola che Matteo riporterà fedelmente nel suo Vangelo e che risuona ancora, grazie a lui, in tutto il mondo. Voleva poi che egli in prima persona potesse godere di una predilezione sicuramente immeritata ed insperata affinché potesse raccontare al mondo che Gesù non è venuto per i sani che non hanno bisogno del medico, ma per i malati.
Voleva fare di Matteo, convertito dai suoi meschini e forse anche illeciti guadagni, un cantore della misericordia divina; voleva che proprio un pubblicano intonasse quel canto, che tanti e tante hanno poi ripreso e cantato con identico fervore. Voleva infine far comprendere a tutti che i chiamati da Cristo non sono santi prefabbricati, ma anime che, avendolo incontrato e ascoltato la sua voce, hanno il coraggio di seguirlo da vicino dando con tutta la vita una risposta di gratitudine al bene ricevuto dalla divina misericordia.
Contempliamo perciò in Matteo un primo anello di una catena d’oro, che ha portato la voce viva di Cristo fino a noi, con l’immediatezza con cui egli stesso l’ha accolta e ne ha goduto. Egli ci invita ad accogliere le sollecitazioni divine che ancora giungono a noi per farci conoscere la verità e renderci capaci di viverla nella gioia

Don Salvatore A.

Vangelo del 20 settembre Lc 7,36-50

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».
Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco».
Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». Lc 7,36-50

Riflessione…
n un istante di pentimento, di dolore per i peccati commessi, di conversione, di richiesta di perdono si passa dall’essere peccatori ad una grande santità. È come se Dio ci mettesse in un crogiolo e da metallo vecchio, arrugginito, inservibile, un rottame ci facesse nuovissimi, splendenti, luccicanti. È questa l’onnipotenza della grazia di Dio che può in un attimo trasformare un peccato nel più grande dei santi e uno che è già sulla porta dell’inferno lo trasporta nel suo Paradiso.
L’uomo però non vede il grande miracolo della grazia, non vede il candore dell’anima lavata dal perdono di Dio e dall’infusione in essa della sua divina carità, non vede il lavorio di purificazione e di eliminazione del male che ci rendeva prigionieri. Vede l’esterno e per lui ciò che si era prima del pentimento lo si è anche dopo. Mentre in realtà il prima ed il dopo non sono la stessa cosa. C’è un abisso di verità, di grazia, di santità, di misericordia, di luce, di pietà, di perdono che separa i due momenti: quello del peccato e l’altro del ritorno del peccatore nella casa di Dio.
Quello che fa la donna a Gesù, letto con gli occhi del peccato, della malizia, della malvagità, dell’ipocrisia, della superficialità, è l’opera di una peccatrice. Letto invece con gli occhi della carità, della misericordia, della compassione, della fede, della grazia, dell’onnipotenza celeste, della santità di Cristo e della sua purezza interiore ed esteriore, è l’opera di una donna che è stata completamente trasformata dalla grazia Dio in seguito al suo pentimento, ravvedimento, volontà di cambiare vita.
Simone non ha gli occhi della verità. Possiede occhi di peccato e per il giudizio. Gesù ha gli occhi della santità, della misericordia, della verità. Ha gli occhi dello Spirito Santo e con essi penetra nel cuore della donna e vede il suo sconfinato pentimento assieme al suo immenso amore per il Signore. Questa donna possiede ormai gli occhi puri, della fede e vede in Gesù il suo Salvatore potente.

 Don Salvatore A.

Vangelo del 19 settembre Lc 7, 31-35

In quel tempo, il Signore disse:
«A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”.
È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.
Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli». Lc 7, 31-35

Riflessione…
La “gente “ un volto indefinito ma molto concreto nel rifiutare l’azione di Dio. Dio li chiama alla conversione e alla serietà per mezzo di Giovanni il Battista e non accettano perché lo ritengono pazzo. Li chiama alla gioia e alla festa per mezzo di Gesù e non accettano perché vogliono un Dio severo. Sono persone adulte che si comportano come bambini capricciosi. In realtà chi non accetta il messaggio di conversione proposto da Giovanni il Battista, riconoscendosi peccatore, non può accogliere l’invito alla gioia proposto da Gesù.
Gli umori capricciosi dei giudei di allora si rivelano nel giudizio che essi danno di Giovanni e di Gesù. Il Battista è troppo severo, e lo definiscono pazzo. Gesù è poco santo, molto mondano; coltiva amicizie con gente poco raccomandabile, con scomunicati e peccatori. Luca si è compiaciuto di ricordarci che Gesù è amico dei pubblicani e delle prostitute, rivelandoci così, che le compagnie preferite da Gesù non erano proprio le più onorate e le più raccomandabili. Una domanda pertinente: la scelta delle nostre amicizie assomiglia a quella di Gesù?
Per quanto misteriose possano sembrare le vie di Dio nella storia della salvezza, esse sono sempre determinate dalla sua sapienza. E la sapienza di Dio può essere riconosciuta come tale solo da chi è generato, trasformato e compenetrato da lei; da chi pensa e giudica come pensa e giudica lei. L’uomo per poter riconoscere in Giovanni e in Gesù due inviati di Dio, deve lasciarsi possedere dalla sapienza divina e rinunciare a una logica puramente umana. Deve lasciarsi convertire e cambiare mentalità; non prendere più se stesso, ma Dio, come misura delle cose: deve uscire da sé e lasciarsi illuminare dalla parola di Dio. Deponendo la sua sapienza umana, deve lasciarsi fare piccolo e povero, perché Dio annuncia il suo vangelo ai piccoli e ai poveri.

Don Salvatore A.

Vangelo del 18 settembre Lc 7, 11-17

 In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto,unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!».
Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!».
Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi»,
e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante. Lc 7, 11-17

Riflessione…
“Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!»”. Sarà stata silenziosa questa processione verso il cimitero.

Ci sono dolori che non contemplano colonne sonore, che non sopportano parole. Il silenzio è il colore di certe disperazioni. Non ci sono nemmeno più preghiere, perché dove finisce la speranza non c’è nemmeno più l’ombra della fiducia. È un dolore così che Gesù incrocia nel Vangelo di oggi. La precisazione che quella mamma con un figlio morto è anche una vedova, sta a significare la totale disperazione di quel dolore: recisa nel suo frutto, e recisa nella sua appartenenza. Eppure Gesù non rimane indifferente. Non ha teologie da contrapporre. Non ha spiegazioni che la aiutino a rassegnarsi. Le dice: “Non piangere”.

Vuole stabilire un limite a quella sofferenza. Cristo è colui che rende finito il dolore destinato ad essere infinito. Mi piacerebbe che questo Vangelo giungesse soprattutto a chi ha perduto qualcuno di molto caro, a chi ha perduto un figlio: il tuo dolore ha le ore contate. Non sarà in eterno così. Ti sarà restituito ciò che ti è stato tolto. Parola di Gesù: “«Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare.

Don Salvatore A.

Vangelo del 17 settembre (Lc 7,1-10)

In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito. (Lc 7,1-10)

RIFLESSIONE…
Difficile cogliere i contorni di questo uomo interessante… questo centurione non esce allo scoperto! Stando al racconto, spedisce due delegazioni successive da Gesù; in Matteo, invece, va personalmente. Tuttavia, stiamo a Luca ed è bello subito notare che sono gli altri a parlare (e pensate un po’… bene!!!) di questo soldato esemplare! “Ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga”. Non è un giudeo, ma è un uomo libero, aperto, tollerante, privo di pregiudizi religiosi. Ha un servo malato… anzi in fin di vita, e si dà da fare per lui. Appare molto discreto: “ Signore non stare a disturbarti… io non sono degno che entri sotto il mio tetto, per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te”. Non rivendica nulla… si affida alla gratuità del Signore! Si accontenta di un miracolo a distanza… un miracolo basato su “una parola”. Ecco la preghiera… ecco la preghiera vera! Quante volte capovolgiamo le parti nella preghiera e rischiamo, affondati nella nostra poltrona o inginocchiati nel banco, di impartire ordini a Dio. Gesù, che non ce l’ha davanti agli occhi, scopre in questo pagano, un tesoro incredibile: la fede! “Neanche in Israele ho trovato una fede così grande”. A Gesù bastano le parole riferite da altri, per diagnosticare “una fede grande”… e sembra quasi che lo stesso Luca ne rimane ammirato quando raccoglie questa testimonianza e decide di fissarla nel suo libro. Sembra quasi che si sia dimenticato del servo moribondo e della sua guarigione, per concentrarsi su quella fede fuori del normale. La cosa ha dell’incredibile. L’evangelista intende raccontarci un miracolo, e per strada la sua penna viene dirottata su un altro evento eccezionale, al punto tale che sembra accorgersene, e mette frettolosamente una postilla alla fine “e gli inviati tornati a casa, trovarono il servo guarito”… Come a dire che il vero miracolo è la fede del centurione! Cristo e il centurione non si incontrano… non si conoscono. E neppure ci sarà un incontro con il servo ammalato! Il miracolo si realizza a distanza. Ecco l’insegnamento che ci viene da questo episodio. Quante volte ci lamentiamo dell’assenza di Dio… di una sua distanza… non presenza. Quante volte abbiamo preteso un Dio sempre li a disposizione, pronto ad ogni chiamata… anzi ad ogni nostro comando? Dio non è il “distante”… siamo noi a essere gli “assenti”… anzi è la nostra fede la grande “assente”. Concludo: qui il centurione intona una delle più belle professioni di fede di tutto il vangelo: “Io non sono degno… ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito”. La potenza della Parola di Gesù opera anche in Sua assenza! Il centurione sa che quando si ha in cuore l’amore, le opere che ne derivano sono cariche di amore. La fede germoglia e fiorisce in una terra abitata dall’amore. “Signore non sono degno… ma credo che la tua Parola d’Amore mi guarisce e mi salva”.

Don Salvatore A.