Vangelo del 8 Settembre Mt 1, 1-16. 18-23

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.  Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi.
Mt 1, 1-16. 18-23

Riflessione…
La festa di oggi, più che celebrare una data, una semplice ricorrenza, vuole ricordarci che la futura Madre del Signore è stata concepita senza ombra di peccato, preservata dal peccato originale, questo suo privilegio ha coinvolto tutti noi, tutti gli uomini. Vuole ancora dirci che è lei la donna che schiaccerà il capo al serpente, è lei la preannunciata sin dal principio, e ancora che quella fanciulla, nata da Gioacchino ed Anna, sarà poi la prescelta da Dio, che sarà lei a diventare la Madre di Cristo. Maria viene così in modo prodigioso innestata nel mistero della redenzione di tutto il genere umano, innestata in quella genealogia. In questa luce noi vediamo e celebriamo le feste della Vergine Maria.
La nascita della fanciulla di Nàzaret diventa «la pienezza dei tempi», la pienezza dei tempi dei disegni, progetti di Dio, quando questi disegni di Dio trovano il loro compimento nella storia, quando i diversi protagonisti assumono i compiti previsti e preannunciati dallo stesso Signore. In questo modo gli eventi umani si legano indissolubilmente ai disegni divini, il divino si fa umano per divinizzare l’uomo. Ma anche noi dovremmo impostare e vivere la nostra storia quotidiana per farla diventare storia sacra, la storia di Dio, del Dio con noi.
Potremmo così realizzare l’ideale principale della nostra esistenza, quello di fare del nostro tempo, dei nostri eventi, della nostra vita, una celebrazione di salvezza, un approdo alla meta finale, dove vivremo senza tempo, nell’eternità di Dio. Ci sgorghi una preghiera particolare in questo giorno alla Madre di Dio, ci aiuti ad essere santi.

 Don Salvatore A.

Vangelo del 7 settembre Luca 5,33-39

In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere; così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!».
Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”». Lc 5, 33-39

Riflessione…
Nel Vangelo di Luca c’è solo un altro testo in cui si parla di qualcuno che digiuna, quello del fariseo e del pubblica­no che vanno a pregare al tempio (Lc 18,12). Nella sua pre­ghiera, il fariseo ricorda che lui digiuna due volte alla set­timana. Il digiuno, dunque, era una prassi importante nella spiritualità del pio giudeo. Gesù, nella sua risposta, non lo annulla, ma ne discerne l’uso secondo un criterio ben pre­ciso: la presenza o l’assenza dello sposo. La gioia legata alla presenza dello sposo rende impossibile digiunare. È solo quando lo sposo sarà portato via e, dunque, gli invitati sa­ranno privati della sua presenza, che avrà senso digiunare. È frequente sentir parlare di persone che si impegnano nel digiuno per diventare più forti interiormente. Conce­pito in questo modo, però, il digiuno rischia di diventare qualcosa di cui vantarsi, che porta a mettere se stessi al cen­tro. Invece, per Gesù, il digiuno non dice il mio impegno, la mia ascesi, ma il mio essere stato privato della presen­za dello sposo e della gioia ad essa legata. C’è, dunque, una incompatibilità totale tra digiuno e presenza dello sposo, come tra un pezzo di vestito nuovo e un abito vecchio, o come tra il vino nuovo e degli otri vecchi. Le parabole di Gesù svelano il rischio in cui possiamo incorrere davanti al suo messaggio: cercare un compromesso tra il nostro “vecchio” stile di vita e il “nuovo” proposto dal Signore. Ma, se facciamo così, il risultato è quello di perdere sia il “nuovo” che il “vecchio”. Chiediamo al Signore la grazia di rinunciare al “vino vecchio” delle nostre abitudini, dei nostri pensieri, delle nostre sicurezze — che ha in sé qual­cosa di piacevole per cui ci è difficile rinunciare ad esso —, per desiderare e accogliere il “vino nuovo” che egli vuole donarci.

Don Salvatore A.

IO E DIO

Ve vojo riccontà ‘na storia strana.
Che m’è successa propio l’artra settimana

Camminavo pe’ r vialone davanti alla chiesa der paese
Quanno ‘na strana voja d’entrà me prese
​Sia chiaro non so mai stato un cristiano praticante
Se c’era un matrimonio, se vedevamo al ristorante
​Ma me so sentito come se quarcuno,
Me dicesse: “dai entra, nu’ c’è nessuno”
Un misto de voja e paura m’aveva preso
Ma ‘na vorta dentro, restai sorpreso
La chiesa era vota, nun c’era nessuno
La voce che ho sentito era la mia, no de quarcuno
C’erano quattro panche e un vecchio crocifisso de nostro Signore
“Guarda te se a chiamamme è stato er Creatore”
Me gonfiai er petto e da sbruffone gridai: “ So passato pè un saluto”
Quanno na voce me rispose: ”mo sei entrato, nu fa lo scemo mettete seduto!”
Pensai: mo me giro e vado via,
Quanno quarcuno me rispose: “Nu te ne ‘nnà. Resta … famme compagnia”.
“Famo n’altra vorta , poi mi moje chi la sente: è tardi sarà già tutto apparecchiato”.
“Avvicinate nu fa lo scemo, ‘o so che nu sei sposato.
Me sentivo troppo strano, io che nun avevo mai pregato
Me sentivo pregà dar Signore der creato
“Signore dateme na prova, devo da crede
Che sete veramente Iddio che tutto vede”
“Voi na prova ? Questo nu te basta? Te sei mi fijo
E io sto qua inchiodato pe er bene che te vojo!”
“Me viè da piagne, me sento de scusamme.
Signore ve prego perdonate le mie mancanze
A sapello che c’eravate pe davero …
Venivo più spesso, ve accennevo quarche cero”.
“Ahahahahhaha ma te pensi che io sto solo qua dentro?
Io so sempre stato co te, nella gioia e nel tormento.
Te ricordi quanno eri piccolino
Io pe te ero Gesù bambino
Prima de coricatte la sera
Me dedicavi sempre na preghiera
Era semplice quella che po’ fa er core de un bambino,
Me facevi piagne e con le mie lacrime te bagnavo er cuscino
Poi anni de silenzio… te s’è indurito er core
Proprio verso de me, che t’ho fatto co tanto amore.
Te gridavo fijo mio sto qua,
Arza l’occhi guarda tuo papà!
Ma te niente… guardavi pe tera
E te ostinavi a famme la guera.
Poi quanno tu padre stava male
E te già pensavi ar funerale
Sul letto de morte… nelle ultime ore
T’è scappata na preghiera… “Te affido ar core der Creatore”.
Ecco perché t’ho chiamato,
Pe ditte quanto me sei mancato.
Ho cominciato a piagne dalla gioia e dar dolore…
Ho scoperto de esse amato dar Signore…
​Questa è na storiella che nun ’ha niente da insegnà,
​Solo che in cielo c’è un Dio che piagne se lo chiami papà!

La seguente preghiera di Piero Infante,
in romanesco, è bellissima e commovente. 

Se potete, condividetela.

Vangelo del 6 settembre Luca 5,1-11

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Lc 5, 1-11

Riflessione…..
Gesù «salì su una barca che era di Pietro»: ieri aveva fatto il suo ingresso nella sua casa, oggi sale sulla sua barca. Egli sta dicendo con i suoi gesti che è impensabile una Chiesa senza Cristo: i malati non potrebbero guarire e ogni sforzo, ogni fatica spesa nel buio della notte resterebbe senza frutto.
È lo stesso Pietro a dichiararlo apertamente: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». Faticare al buio e senza Cristo inevitabilmente produce solo il nulla e genera le più amare delusioni. Quante energie sprecate per il nulla! Quante delusioni e amarezze ci procuriamo con le nostre stupide presunzioni! Gesù ci ammonisce: «Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». San Pietro intuisce l’ammonimento del suo Maestro e fiducioso afferma: «Ma sulla tua parola getterò le reti». La pesca miracolosa che segue al comando del Signore è il preludio di quanto accadrà ai ministri del suo Regno che si succederanno nei secoli nella sua Chiesa: tutti coloro che andranno nel suo nome e saranno pieni di fede, nella sua parola porteranno molto frutto, faranno pesche miracolose non più di pesci ma di uomini.

Don Salvatore A.

Vangelo del 5 settembre Luca 4,38-44

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagòga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagòghe della Giudea. Lc 4, 38-44

Riflessione…

Gesù entra nella casa di Pietro, entra nella Chiesa per soccorrere e guarire. È normale che trovi malata la sua suocera: l’umanità è malata e ha urgente bisogno di Colui che dice di essere ed è venuto non per i sani, ma per gli infermi, non per i giusti, ma per i peccatori. Fin quando il male persiste non siamo in grado di servire il Signore.  Abbiamo bisogno che lui si chini su di noi e ci imponga le sue mani affinché le nostre febbri scompaiano e recuperiamo la salute dell’anima e del corpo. Dobbiamo sentire su di noi la forza divina delle sue mani per sentirci guariti. Nell’impossibilità di adempiere da soli quanto dobbiamo fare, noi siamo soliti rivolgerci a qualcuno, chiedendo che ci dia una mano per portare a termine le nostre piccole e grandi imprese.
Con gioia costatiamo che Cristo è venuto a darci le sue mani: mani che si impongono per guarire, che si muovono per benedire, che hanno la forza per sollevare, che sono capaci di condurre. Mani protese verso Pietro per sollevarlo dai flutti del lago in tempesta, vi ricordate, quando vacilla nella fede. Mani poi forate dai chiodi, quando il dono doveva essere totale. Ci viene da fissare per un po’ le nostre mani e chiederci l’uso che ne facciamo.
Molto spesso esprimiamo proprio con le mani i sentimenti più profondi che coviamo nel segreto del nostro cuore. Che siano le nostre mani espressioni vitali di amore e di solidarietà! I demòni temono e fuggono all’imposizione delle mani di Cristo, lo riconoscono Figlio di Dio, ma viene loro imposto di tacere perché nessuno creda per la loro testimonianza.
La vera fede in lui ha altri percorsi; dovremmo contemplarlo crocifisso e risorto per poter esclamare con un centurione pagano: «Davvero costui era il figlio di Dio».

Don Salvatore A.

Vangelo del 3 settembre Luca 4,16-30

In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. Lc 4, 16-30

Riflessione…
Gesù nella sinagoga di Nazaret, facendo una lettura sapienziale di un passo del profeta Isaia, indica il significato della sua missione: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore». Viene confermata la testimonianza di Giovanni Battista: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui», ma tutto il messaggio profetico biblico trova in Cristo il pieno adempimento: «Oggi si è adempiuta questa scrittura». Cristo è l’unto di Dio, consacrato e prescelto per una missione esclusiva di salvezza. Egli deve restituire la verità agli uomini, vittime della menzogna e del peccato, deve liberarli dai lacci del male, deve richiamare a sé tutti gli affaticati e oppressi per dare loro ristoro, deve rendere gli uomini soggetti della divina misericordia e capaci, a loro volta, di riconciliazione e di perdono. E’ triste costatare che sin dall’inizio della sua missione e proprio nella sua patria Gesù incontri ostilità e assurde resistenze. Quegli uditori che da secoli erano in attesa di un messia liberatore, ora che è venuto ad abitare in mezzo a loro, pur meravigliati per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, non lo riconoscono, si scandalizzano di lui e già lo minacciano di morte. Quanta fatica facciamo noi uomini per entrare con semplicità e fede autentica nei misteri di Dio: chi sa quali idee avevano i concittadini del Signore sul Messia, quali erano le loro attese? Spesso, quasi istintivamente noi vorremmo che il Signore Dio rispondesse alle nostre speranze con i toni e gli accenti della grandiosità, della potenza, della spettacolarità. Nessuna di queste caratteristiche appartengono al Cristo; egli si è umiliato nella carne e la sua proposta di salvezza sappiamo che passerà attraverso l’ignominia della croce. Egli viene ad annunciare la verità e la libertà, ma per far questo deve cancellare dalla nostra mente tutte le manìe di grandezza e di prestigio per far rifiorire in noi l’umiltà dei figli e la gioia di poter chiamare il nostro Dio, Padre. Chiediamolo in umiltà del cuore.

Don Salvatore A.

 

Vangelo del 1 Settembre Matteo 24,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.  Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”.
“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”» Mt 24,14-30

Riflessione…
Un’immagine sbagliata, errata di Dio, può rovinare per sempre l’esistenza del credente. Per questo è bene conoscere il vero volto di Dio, come Gesù lo ha rivelato. E’ quanto esprime Matteo nel capitolo 25 del suo vangelo, dai versetti 14-30. Dice Gesù: “«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni»”. A quell’epoca tutti i dipendenti di un re, di una persona importante, venivano chiamati servi, ma in questo caso qui si tratta di alti funzionari. Infatti a questi viene affidato un patrimonio ingente. E’ importante il verbo adoperato dall’evangelista. Il verbo “consegnare” significa dare senza riprendere, quindi non è una custodia, ma un trasferimento dei propri beni ai suoi funzionari “«A uno diede cinque talenti»”, il talento è una misura d’oro che oscillava, secondo i tempi, tra i 26 e i 36 chili d’oro, quindi una somma ingente. Un talento corrispondeva a 6000 denari, che equivalevano a circa venti anni di salario di un operaio, quindi una cifra considerevole. “«A un altro due, a un altro uno, secondo le capacità …»”, letteralmente “la forza”, cioè quello che sono capaci di portare avanti, “«… poi partì». Ebbene, Gesù dice che “«Colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così fece anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.»”. Invece il terzo ha un atteggiamento strano. “«Colui che aveva ricevuto un solo talento»”, che non è poco, sono sempre trenta chili d’oro, quindi è una somma ingente, “«andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone»”. Perché questo? Perché lui è rimasto servo. Mentre gli altri con questa cifra si sentono già signori e padroni dei propri beni, per lui il talento è il denaro del suo padrone, lui è rimasto servo. Ma perché lo va a seppellire? Perché, secondo il diritto rabbinico, quando si seppelliva un tesoro o del denaro in terra, in caso di furto non si era poi tenuti a risarcirlo. Questo servo non crede alla generosità del padrone e non crede neanche a se stesso come destinatario del dono. Questo servo rimane servo, rimane nella paura, rimane in una vita mediocre e banale; copre prima del tempo la sua vita con la terra perché resta chiuso nella morte. Ha paura di lanciarsi di amare non si fida di chi voleva renderlo Signore, non ha compreso che nell’amore non c’è timore e resta solo, fuori dall’amore.

Don Salvatore A.

 

Vangelo del 31 agosto Matteo 25,1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi Conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».(Mt 25, 1-13)

RIFLESSIONE…
La parabola delle dieci vergini ci insegna che Gesù si trova solo se il cuore rimane in attesa dell’incontro, quindi vigilante, inoltre occorre la lampada della Fede accesa.
Molti si illudono di conoscere Gesù e di pregarlo con particolare affetto, ma non si accorgono di non avere il cuore vigile e la Fede non è che sia molto infiammata…
Non possiamo percepire Gesù se non entriamo nella sua condizione soprannaturale, noi siamo dentro un limite temporale e di spazio, occorre elevarsi con lo spirito e cominciare ad ascoltarlo. Se qualcuno ci parla senza utilizzare strumenti da un chilometro distante, non riusciamo ad ascoltarlo, nella misura che ci avviciniamo percepiamo le parole fino a comprenderle perfettamente.
Bisogna avvicinarsi a Gesù, distaccandoci dalle cose materiali. Ognuno di noi segue nel suo agire o le cinque stolte della parabola o le cinque sagge. Tertium non datur. C’è chi alterna i due comportamenti, mentre altri camminano imperterriti sulla via sbagliata, pur sapendo quello che fanno. Le conseguenze sono immaginabili, come ci dice il Vangelo. Le vergini stolte rimasero senza l’olio della Fede quando arrivò il Signore, quelle sagge avevano continuato a vegliare, quindi a vivere nelle virtù, nella preghiera, nella Fede viva.
L’olio indica la perseveranza della Fede, la vigilanza spirituale, e permette alla lampada di dare luce. È la lampada dell’amore vivo verso Gesù. Vivere senza Fede e l’amore verso Gesù, impedisce di entrare nel Regno dei Cieli, si rimane fuori e poi per il terrore si comincia a gridare ma il Signore risponderà: “In verità io vi dico: non vi conosco”. È una sentenza definitiva, la colpa è delle cinque stolte che in vita non avevano amato Gesù e non si erano curate della loro Fede. D’altronde, come si vive così si muore.
Gesù ci avvisa: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.

Don Salvatore A.

 

 

Vangelo del 30 agosto Matteo 24,42-51

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti». (Mt 24, 42-51)

RIFLESSIONE…
La nostra vita ci sfugge, siamo un mistero per noi stessi, non ci possediamo, siamo del Signore.
Vigilare, essere pronti significa porsi davanti al Signore sempre presente e vivere coerentemente secondo questa fede.
Nella parabola del servitore preposto ai servizi del suo padrone, la vigilanza prende la forma di una fedeltà responsabile verso una missione affidata dal Signore.
Seguendo il tenore del testo, bisogna porre l’accento sulla parusìa. Ci sono delle persone a cui sono state affidate responsabilità particolari nella Chiesa. La funzione dei detentori di “cariche” è qualificata come servizio. Coloro che sono affidati alle loro cure sono compagni di servizio. I detentori di cariche non sono padroni posti al di sopra degli altri. Tutti hanno un unico Signore sopra di sé. L’abuso della carica merita la massima condanna, come vuol far capire la punizione severissima.
L’attesa del Cristo deve suscitare l’impulso all’azione morale, a non sprecare il tempo, a comportarsi come servi di tutti e padroni di nessuno.

Don Salvatore A.

 

 

Vangelo del 29 agosto Marco 6,17-29

(Martirio di San Giovanni Battista)
In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. (Mc 6, 17-29)

RIFLESSIONE…
Il più grande uomo vissuto. Un complimento così ci fa riflettere, ovviamente. Ancora di più se a farlo è Gesù in persona. Giovanni Battista, di cui oggi celebriamo il cruento assassinio, è un modello di umanità compiuta, un gigante della coerenza, un asceta integerrimo. Di lui sappiamo poco: vive nel deserto di Giuda in attesa del Messia, accoglie i penitenti che dalla ricca Gerusalemme scendono da lui per un bagno di conversione nel Giordano. La sua è una vita dura, essenziale, improntata al servizio totale nei confronti dell’annuncio del Regno. Non ha paura di nessuno, non appartiene a nessuna scuola di pensiero, tiene testa ai dottori del tempio e ai devoti. Ha una parola sferzante per tutti, uno schiaffo morale che spinge le persone a pentirsi, a cambiare atteggiamento, a interrogarsi. Pochi sanno che, al tempo di Gesù, la fama del Battista era maggiore di quella del Nazareno e per un certo periodo i discepoli di Gesù dovettero confrontarsi con quelli di Giovanni. Anche la sua morte è vissuta all’insegna della coerenza e della testimonianza. Chiediamo a Giovanni di essere capaci di donare tutto alla causa del Regno, senza tirarci indietro davanti a nulla.

Don Salvatore A.