Vangelo del 28 agosto Matteo 23.23-26

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!». (Mt 23, 23-26)

RIFLESSIONE…
In questo brano Gesù continua a smascherare l’ipocrisia, o meglio gli ipocriti. L’ipocrita è un uomo che recita. Ama la pubblicità. Ogni suo gesto ha il solo scopo di attirare l’attenzione su di sé (cfr Mt 6,1-6). La radice profonda dell’ipocrisia è la ricerca di sé, il fare tutto per sé, non per gli altri o per Dio. E’ l’egoismo, l’esatto contrario dell’amore (cfr 1Cor 13,1-7).
Il quarto “guai” è rivolto contro il capovolgimento dell’ordine dei valori. Gli scribi e i farisei ritenevano più importanti le prescrizioni esterne che i doveri morali fondamentali.
Il pagamento della decima della menta, dell’aneto e del cumino, le erbe aromatiche più in uso, pare un’esagerazione. Nella legge era previsto solo il pagamento della decima per l’olio, il mosto, i cereali, che poi fu esteso al raccolto in genere (cfr Nm 18,22; Dt 14,22-23; Lv 27,30). Le cose più importanti nella legge sono il diritto, la misericordia, la fede.
Il quinto “guai” riguarda quelli che non tengono in debito conto il nesso inscindibile tra interno ed esterno. In termini concreti si parla di pulire il bicchiere e la scodella, come prevedevano le prescrizioni farisaiche sulla purità. Ma lo scopo del discorso è la pulizia della coscienza piena di rapina e di iniquità.
La cura della pulizia del bicchiere viene utilizzata per evidenziare la discutibilità di un comportamento morale che si preoccupa solamente dell’apparenza esterna e non della realtà interiore. L’esortazione rivolta al fariseo cieco, a pulire anzitutto l’interno del bicchiere, è ora un invito ad allontanare dal cuore e dalla vita ogni malvagità.

Don Salvatore A.

Vangelo del 27 agosto Matteo 23,23-26

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!». (Mt 23, 23-26)

RIFLESSIONE…
In questo brano Gesù continua a smascherare l’ipocrisia, o meglio gli ipocriti. L’ipocrita è un uomo che recita. Ama la pubblicità. Ogni suo gesto ha il solo scopo di attirare l’attenzione su di sé (cfr Mt 6,1-6). La radice profonda dell’ipocrisia è la ricerca di sé, il fare tutto per sé, non per gli altri o per Dio. E’ l’egoismo, l’esatto contrario dell’amore (cfr 1Cor 13,1-7).
Il quarto “guai” è rivolto contro il capovolgimento dell’ordine dei valori. Gli scribi e i farisei ritenevano più importanti le prescrizioni esterne che i doveri morali fondamentali.
Il pagamento della decima della menta, dell’aneto e del cumino, le erbe aromatiche più in uso, pare un’esagerazione. Nella legge era previsto solo il pagamento della decima per l’olio, il mosto, i cereali, che poi fu esteso al raccolto in genere (cfr Nm 18,22; Dt 14,22-23; Lv 27,30). Le cose più importanti nella legge sono il diritto, la misericordia, la fede.
Il quinto “guai” riguarda quelli che non tengono in debito conto il nesso inscindibile tra interno ed esterno. In termini concreti si parla di pulire il bicchiere e la scodella, come prevedevano le prescrizioni farisaiche sulla purità. Ma lo scopo del discorso è la pulizia della coscienza piena di rapina e di iniquità.
La cura della pulizia del bicchiere viene utilizzata per evidenziare la discutibilità di un comportamento morale che si preoccupa solamente dell’apparenza esterna e non della realtà interiore. L’esortazione rivolta al fariseo cieco, a pulire anzitutto l’interno del bicchiere, è ora un invito ad allontanare dal cuore e dalla vita ogni malvagità.

Don Salvatore A.

 

 

Vangelo del 25 agosto Matteo 23,1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.  Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato». (Mt 23,1-12) 

Riflessione…

Il problema presentato da questo brano è sempre lo stesso: al centro di tutto poniamo Dio o il nostro io?
Gesù critica gli scribi e i farisei, e noi con loro, perché fanno tutto per essere visti e lodati: “Fanno tutte le loro opere per essere visti dagli uomini” (v.5). Si preoccupano di recitare la parte dell’uomo pio e devoto più che di vivere un sincero rapporto con Dio.
La falsità è abbinata ovviamente a una buona dose di vanità e di orgoglio. In un mondo in cui la religione è tenuta in considerazione, le persone religiose acquistano automaticamente la massima reputazione. Esse occupano, quasi per convenzione comune, il posto di onore dovuto a Dio. Difatti gli scribi e i farisei con la loro pietà simulata hanno posti di riguardo nelle sinagoghe e nei conviti, e quando appaiono in pubblico ricevono da ogni parte inchini, ossequi e saluti nei quali vengono scanditi con esattezza i loro titoli onorifici.
Anche i discepoli di Gesù sono esortati a rifuggire da questi comportamenti segnalati nei farisei e negli scribi. I titoli onorifici e le rivendicazioni di potere sono fuori luogo perché essi sono tutti fratelli, figli dello stesso Padre (v.8 e sono guidati dallo stesso Cristo presente in loro (v.10).
Nella comunità cristiana i più grandi sono gli ultimi e l’unico primato che conta è quello dell’abbassamento e del servizio (v.11). In essa non devono nemmeno circolare gli appellativi che indicano distinzione e discriminazione che mettono in evidenza un preteso diritto di controllo e di dominio di alcuni sugli altri. Spesso succede che il nostro Signore, al quale diamo del tu, è predicato da signori ai quali diamo del lei.

Don Salvatore A.

Vangelo del 24 agosto Giovanni 1,45-51

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo». (Gv 1, 45-51)

RIFLESSIONE…

Bartolomeo di Cana di Galilea, uno dei dodici, viene solitamente identificato con Natanaele, amico dell’Apostolo Filippo. Anche per lui, come per tanti altri prima di lui, giunge il momento della scoperta di Gesù, non senza qualche fatica e tanti dubbi. Natanaele è un uomo che attende e nell’attesa, si mette alla ricerca. “Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fico”, gli dirà Gesù. Nella simbologia biblica, quest’albero con i suoi dolci frutti rappresenta la torah (i primi 5 libri della Bibbia)… è l’amore per la sacra scrittura… e assaporare e far assaporare la Parola di Dio. Ma è bello sentire queste parole del maestro… è bello sapere che quando sei davanti ad un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo… o intento a leggere la scrittura… semplicemente sei guardato da “Lui”. In Natanaele, dirà Gesù, non c’è falsità… ma al contrario c’è amore per la verità! Natanaele è il modello del vero cercatore di Dio… amante della verità, attento all’ascolto della Sua Parola, uomo vero (non falso!), che alla luce della scrittura, trova incarnato in Gesù, il messia atteso… l’unico Salvatore… e lo segue!

Don Salvatore A.

 

Vangelo del 23 agosto Matteo 22,1-14

“INVITATI A NOZZE…”

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». (Mt 22, 1-14)

RIFLESSIONE…

la festa è pronta, ma gli invitati no! Anzi, agli invitati non interessa proprio andare a quella festa… hanno tutt’altro per la testa. E allora il re fa venire quelli che non erano invitati. E qui viene il peggio. Gesù paragona il regno dei cieli a una festa di nozze che il re prepara per suo figlio. A più riprese i servi del Re battono strada per reclutare invitati… il messaggio è chiaro: “Vi ho fatto un invito e non l’avete accolto”… allora io ho invitato degli altri! Gesù è stato rifiutato dai sapienti, dai religiosi, da quelli che già “avevano un Dio”, il loro Dio e la loro immagine di Dio, così radicata e fissa che non sono riusciti a cambiarla. Allora Gesù si è rivolto ad altri: pubblicani, lontani, donne, eretici, senza-Dio, e loro lo hanno accolto. L’accusa che facevano a Gesù era: “E’ capace di trovare seguito solamente tra i pezzenti, i disperati e i poco di buono” (Mt 11,11; 11,19). E Gesù: “Per forza, voi non mi volete!”. Matteo spiega i motivi del rifiuto dell’invito. Ognuno ha i suoi buoni motivi (il campo = il lavoro; gli affari = i propri interessi), ma in realtà sono solo giustificazioni. C’è sempre una buona, ottima, giustificazione per rifiutare il messaggio di Dio. “Ho poco tempo; lavoro tutto il giorno; devo stare con i miei figli; mi piacerebbe tanto!; io prego tanto per conto mio!; se avessi più tempo”. Ma la vera domanda è: “In realtà, vuoi o non vuoi?”. La vera domanda è: “Perché hai paura? Cos’è che ti fa paura?”. Perché spesso il “non posso” è semplicemente un “non voglio”!!! Dio vuole amarti, perdonarti, starti accanto, essere la tua forza, non farti sentire solo, darti sostegno, farti felice: ma perché rifiutarlo? Quando Gesù parla di Dio, di suo Padre, ne parla come di un padre misericordioso che non gliene frega niente di ciò che suo figlio fa e anche se rovina la sua vita, i suoi beni, lui lo attende e lo ama. Perché lo rifiutiamo? Accettare il vangelo e l’amore di Dio è lasciare che lui ci ami anche nelle nostre schifezze, nei nostri sbagli e nel nostro marciume. Solamente quando non è meritato si può sapere cos’è l’amore.

Don Salvatore A.

Vangelo del 20 agosto Matteo 19,16-22

In quel tempo, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Gli chiese: «Quali?».
Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!».
Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze. Mt 19,16-22

 

Vi propongo come riflessione quella bellissima meditazione di San Bernardo 

Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici» di san Bernardo, abate
(Disc. 83, 4-6; Opera omnia, ed. Cisterc. 2 [1958] 300-302)
Amo perché amo, amo per amare
L’amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È a se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l’amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L’amore è il solo tra tutti i moti dell’anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l’unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l’ameranno si beeranno di questo stesso amore. L’amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell’amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all’amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell’Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l’Amore?
Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all’Amore, ella che nel ricambiare l’amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell’Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell’amore. È certo che non potranno mai essere equiparati l’amante e l’Amore, l’anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all’assetato.
Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l’ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l’agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l’Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c’è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così 

Don Salvatore A.

Vangelo del 18 agosto Matteo 19,13-15

In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse;
ma i discepoli li rimproverarono.
Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me;
a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli».
E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là. (Mt 19,13-15)

 

RIFLESSIONE…
Non credo che Gesù abbia voluto fare un elogio dell’ingenuità, quando affermava che il regno dei cieli è di chi è come i bambini.
Santa Teresa di Lisieux diceva che era incapace a compiere azioni eroiche e che doveva accontentarsi di fare piccole cose per il Signore, condite dall’fiducia e dall’abbandono a lui. Ecco cosa intendeva Gesù: riposare nelle braccia del Padre come bambini piccoli,
preoccupandoci il meno possibile. Ci sono periodi nella nostra vita in cui siamo convinti di fare grandi cose per la società, per Dio e per noi stessi, e ci sentiamo utili e a volte (Dio ci perdoni!) indispensabili. 
Questi periodi per fortuna non durano molto perché le circostanze ci ridimensionano e ci fanno capire che se riusciamo a fare qualcosa è solo per “grazia”, che se dovessimo basarci solo sulle nostre forze faremmo ben poco. Che fortuna quando possiamo dire con consapevolezza: «Siamo servi inutili».    Allora forse riusciremo a fare qualcosa di utile

Don Salvatore A.

 

 

Vangelo del 16 agosto Matteo 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». (Mt 18, 21- 35)

RIFLESSIONE…
Al tempo di Gesù i rabbini suggerivano di perdonare fino a tre volte un torto subito, per manifestare clemenza. Pietro, nel vangelo di oggi, vuole esagerare, proponendo di perdonare fino a sette volte. Ma ha fatto male i suoi conti. Ecco la ragione del perdono cristiano: perdono chi mi ha offeso perché io per primo sono un perdonato. Non perdono perché l’altro migliori, o si converta, o si intenerisca. Il perdono mi situa in una posizione nuova, diversa, mi rende simile a quel Dio che fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti. Dire perdono ma non dimentico non ha senso. Io perdono perché scelgo di perdonare, perché voglio perdonare. Vederti mi riapre le ferite, sto male come un cane, ma ho scelto la strada della libertà. “settanta volte sette”… risponde il maestro. Siamo chiamati, cioè, a perdonare sempre! Nella parabola odierna, il servo perdonato, non ha perdonato a sua volta. Qui sta il suo errore. Siamo chiamati a perdonare perché perdonati… non perché più buoni…. non dimentichiamolo mai!!! Non ti perdono per dimostrare qualcosa, ma perché ne ho un bisogno assoluto, perché il rancore fa male a me prima che a te, perché ho bisogno di abbandonare la rabbia che avvelena la mia vita… Ti perdono perché il perdono guarisce chi lo esercita, non colui a cui viene destinato. Se prendessimo più sul serio questa pagina del Vangelo! Se riuscissimo a costruire delle comunità di perdonati!

Don Salvatore A.

O pate Raffaele Viviani

‘O pate è ‘o capo ‘e casa, ‘o ciucciariello,
pecché tira ‘a carretta d’ ‘a famiglia.
‘E figlie, ‘a sera, ‘o fanno na quadriglia,
n’applauso appena sona ‘o campaniello.

Chi ‘a copp’ ‘a seggia ‘o vo’ tirà ‘o cappiello,
chi ‘o leva ‘a giacca; e st’ommo se ‘ncuniglia,
nun sape a chi vasa’, nu lassa e piglia,
addeventa pur’isso guagliunciello.

E chesta scena priesto ‘o fa scurda’
ca tene ‘a maglia ‘a sotto ch’è spugnata.
— Guè, jatevenne, ca s’ha da cagna’.

Po’ tutte attuorno a’ tavula, ‘ncastiello.
E quanno ‘a caccavella è scummigliata,
appizza ‘e rrecchie pure ‘o cacciuttiello.

Raffaele Viviani

TRADUZIONE

Il padre è il capo di casa, il lavoratore,
perché porta avanti la famiglia.
I figli la sera gli fanno una festa,
un applauso appena suona il campanello.

Chi sopra la sedia gli vuole togliere il cappello,
chi gli toglie la giacca; e questo uomo si intimidisce,
non sa chi baciare, un prendi e lascia,
diventa pure lui un ragazzino.

E questa scena gli fa dimenticare presto,
che tiene la maglietta intima inzuppata.
-Andatevene, che si deve cambiare.

Poi tutti riuniti intorno alla tavola,
E quando si scopre la pentola,
è felice anche il cagnolino.

O pate di Nino D’Angelo

O pate è ‘o pate
nun se po lamentà maje cu nisciuno
adda fà sempe ‘o forte, adda fà ‘o pate
è capo, ma nun sape cumannà.

O pate è ‘o pate
sempe annascuso, nun se vede maje
ma sape tutto chello ca succede
e quanno vò se sape fà sentì
e c”a fatica ‘nfaccia e dint’ all’ossa
va cammenanno cu ‘e penziere appriesso
se cresce ‘e figli dint”o portafoglio
sempe cchiù chino ‘e ‘sti fotografie
nisciuno ‘o sente quanno parla sulo
e se fa viecchio sestimanno e guaje
e si ‘o faje male s’astipa ‘o dolore areto a nu sorriso
e se va a ‘ppendere dint’ ‘o scuro
a ‘na lacrema d’ ‘o core
ca ogni tanto ‘o fa cadè.

‘O pate è ‘o pate
nun se po’ rassignà si ‘o juorno è niro
pe’ forza adda truvà nu piezze ‘e sole
pe’ scarfà ‘a casa soja primma ‘e partì;

‘O pate è ‘o pate
‘o primmo amico ‘e quanno si criaturo
ca fore ‘a scola nun ‘o truove maje
ma sta tutte ‘e mumente addò staje tu,
‘o truove sempe cu ‘o piacere ‘n mane
si nun vuò niente te vo’ dà coccosa
e se sta zitto pe’ guardà ‘e parole
ca so’ carezze ca isso t’ ‘a ‘mparato,
acale l’uocchie quanno te saluta
e sott’ ‘e diente dice statt’accorto
e chella mano ca te tocca ‘a spalla
è ‘o coraggio ca tiene
e nun te miette cchiù paura,
pecchè saje ca nun si sulo
quanno ‘a vita è contro a te.

 ( Nino D’Angelo)

TRADUZIONE

Il padre è il padre

non si può lamentare mai con nessuno
deve fare sempre il forte, deve fare il padre
è capo ma non sa comandare

il padre è il padre

sempre nascosto, non si vede mai
ma sa tutto quello che succede
e quando vuole si sa far sentire
e con la fatica in faccia e dentro le ossa
va camminando con i pensieri appresso
si cresce i figli dentro il portafoglio
sempre più pieno di queste fotografie
nessuno lo sente quando parla da solo
e si fa vecchio sistemando i guai
e se gli fai male si conserva
il dolore dietro ad un sorriso
e se va ad appendere nell’oscurità
ad una lacrima del cuore
che ogni tanto lo fa cadere

il padre è il padre

non si può rassegnare se il giorno è nero
per forza deve trovare un pezzo di sole
per scaldare la sua casa prima di partire

il padre è il padre

il primo amico di quando sei bambino
che fuori la scuola non lo trovi mai
ma sta tutti i momenti dove stai tu
ti aspetta sempre con il piacere in mano
se non vuoi niente ti deve dare qualcosa
e se stai zitto per guardare le parole
che sono carezze che lui ti ha insegnato
abbassa gli occhi quando ti saluta
e sotto i denti dice stai attento
e quella mano che ti tocca la spalla
è il coraggio che hai
e non ti metti più paura
perché sai che non sei solo
quando la vita è contro di te.